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Chiave di lettura - Pavese uomo, depurato dal "pavesismo" (Pietro Polito)

Pavese uomo, depurato dal “pavesismo”

di Pietro Polito

         

L’intento dichiarato di  Franco Vaccaneo, Cesare Pavese. Vita colline libri, Priuli % Verlucca, Torino 2020, è quello di andare alla ricerca del “Pavese uomo, depurato dal pavesismo” (p. 17). Rigettando l’idea del fallimento nella vita di Pavese, “anche a dispetto di quello che scrivevano e pensavano di lui molti suoi detrattori”, l’autore “lo vede come autore di un’opera assolutamente compiuta, pagata al prezzo di una costante infelicità” (p. 17).

Vaccaneo ci dà una biografia aggiornata, ripercorrendo l’infanzia nella campagna delle Langhe, la scoperta della città e la fine dell’adolescenza, il viaggio dal paese alla città e il ritorno dello scrittore alle sue colline, avvalendosi delle testimonianze degli amici, rivisitando i luoghi di Pavese, avvalendosi dei suoi libri e dei libri a lui dedicati.

Dopo quel tragico 27 agosto 1950, le spoglie mortali di Pavese sono rimaste al cimitero di Torino per 52 anni. Il poeta è ritornato nella sua terra, a Santo Stefano Belbo, il 7 settembre 2002. In quell’occasione Roberto Cerati disse: “Cesare, ora sei qui, nei paesi tuoi. Riposa. Noi come tanti verremo a trovarti per cercare di capirti meglio”. Consiglio di leggere questa nuova biografia pavesiana che in modo lieve aiuta il lettore a capire meglio la “storia di un destino” (p. 5), ad affacciarsi sul segreto di “un’esistenza breve ma compiuta” (p. 17).

Al di là della leggenda, al di là del mito. In effetti Pavese è stato un mito in particolare per la generazione del Sessantotto che ne ha esaltato le implicazioni esistenziali e politiche della sua vita e della sua morte: “il pavesismo, una identificazione quasi maniacale con il personaggio” (p. 98) che ha avuto non pochi epigoni. Dopo settant’anni – questa è la tesi di Vaccaneo – possiamo leggere o rileggere questo autore che solo apparentemente dalla nostra modernità. Anzi Pavese lo sentiamo vicino per la sua inattualità che ci fa riscoprire e apprezzare “la serietà, l’austerità, il rifiuto  del pressappochismo e del dilettantismo, il rifiuto della chiacchiera vana e del cicaleccio” (p. 98).

Possiamo accostarci all’autore di Lavorare stanca e di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (il mio Pavese è soprattutto il poeta e l’autore di Il mestiere di vivere) come a un classico, “forse l’ultimo dei classici del Novecento” (p. 99). A un patto. Di essere avvertiti che Pavese è un classico atipico: egli “non si pone al di sopra di noi, con aria olimpica e distaccata, ma piuttosto al nostro fianco, come un compagno di strada, che ha saputo dare poesia agli uomini ma solo dopo averne condiviso le pene” (p. 99).

In questo senso Pavese forse è vissuto nella disperazione ma non ha seminato disperazione. La sua poesia “ancora oggi dopo settant’anni, ci aiuta e ci consola nel nostro cammino di uomini persi nella solitudine dell’universo (anche se interconnessi in ogni momento della nostra vita)” (pp. 99-100).

 

 

 

 

 

 

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