Cronache culturali - 05/19

La lega dei miti
a cura di Pietro Polito


La mitezza è un atteggiamento anti-eroico che non ostenta galloni, bandiere, divise. Agli entusiasti e ai fanatici di ogni credo, religione o ideologia si dovrebbe e si potrebbe opporre una sorta di lega dei miti, uomini e donne comuni che nell’ora della scelta ritrovano in sé stessi i valori più antichi e più semplici: il disinteresse, la generosità, la solidarietà, l’integrità morale.

1. Ricordo con commozione che cosa ho provato quando tra le carte di Norberto Bobbio ho scoperto il manoscritto dell’Elogio della mitezza. Una folgorazione! Era la mattina di martedì 2 febbraio 1993. Esattamente 25 anni fa. Nel diario di lavoro tenuto negli anni della mia collaborazione con il professore dalla seconda metà del 1992 alla fine del 2003, avevo allora annotato: “Buona mattina conclusa bene: grazie al caso ho scoperto l’elogio bobbiano della mitezza. Ne sarà felice. D’accordo Bobbio, la mitezza è, forse, la massima delle virtù, ma un animo mite e non rassegnato è una conquista”. Originariamente Bobbio aveva presentato l’Elogio della mitezza su invito dell’amico Ernesto Treccani, in un ciclo di incontri promosso dal gruppo milanese di “Corrente”, l’8 marzo 1983. Quella di Bobbio è una delle undici conferenze, tenutesi tra l’ottobre 1982 e il maggio 1983 e dedicate ai seguenti temi: l’autocoscienza, l’indifferenza, la pazienza, la dissimulazione onesta, il silenzio, il sapere errare, la costanza, la mitezza, la realtà, le virtù civiche.
A distanza di dieci anni Bobbio accoglie l’idea di pubblicare l’Elogio nel dicembre 1993 come edizione speciale fuori commercio, allegato al numero natalizio di “Linea d’ombra”, a cura mia e di Santina Mobiglia1. Il testo reca in copertina la riproduzione a colori di Bambina con la colomba di Picasso del 1901 ed è illustrato con altre immagini di opere famose tra cui La temperanza di Giotto, affresco nella Cappella degli Scrovegni a Padova. Giotto simboleggia la temperanza con una figura femminile che tiene in mano una spada strettamente legata da nodi.
Fin dal suo primo apparire il discorso di Bobbio sulla mitezza suscita numerose riprese e reazioni anche molte polemiche. Mi riferisco in particolare al saggio di Giuliano Pontara, Il mite e il nonviolento. Su un saggio di Norberto Bobbio2. Secondo Pontara, Bobbio, identificando la mitezza come virtù impolitica con la nonviolenza, finisce col destituire di valore politico la nonviolenza (ma era questa l’intenzione di Bobbio?). Diversamente, continua Pontara, la nonviolenza è dentro la politica “in modo del tutto speciale”: il nonviolento non si ritira dalla politica, rifiuta la concezione della politica come il regno esclusivo della volpe e del leone.
Il dibattito tra Bobbio e Pontara costituisce la prima parte del “libretto” Elogio della mitezza e altri scritti morali, anch’esso a cura mia e di Mobiglia e anch’esso pubblicato da “Linea d’ombra” nel 1994 e accolto da Fofi nella collana da lui stesso diretta, “Aperture”3. Nella premessa al libro, Bobbio definisce l’Elogio “uno scritto estravagante” e il libro stesso “una raccoltina di «scritti morali»”4. Tuttavia il modo dimesso e modesto con cui lo presenta, si accompagna al riconoscimento che il “libretto” riguarda i “grandi problemi” di fronte ai quali egli si è sempre posto con l’atteggiamento di “un uomo del dubbio e del dialogo. Del dubbio, perché ogni mio ragionamento su una delle grandi domande termina quasi sempre o esponendo la gamma delle possibili risposte, o ponendo ancora un’altra grande domanda. Del dialogo, perché non presumo di sapere quello che non so, e quello che so metto continuamente alla prova con coloro che presumo ne sappiano più di me”5.
La seconda edizione dell’Elogio della mitezza si presenta “profondamente rinnovata”6 ed è arricchita di una ampia introduzione da cui traspare il graduale distacco dalla politica da lui reso pubblico esattamente l’anno precedente nell’introduzione alla raccolta dei suoi commenti politici su “La Stampa” di Torino: “Non ho nessuna difficoltà a mettermi da parte” perché “si apre una nuova fase della storia del nostro paese. Se si vuole concludere il periodo di transizione, che dura ormai da anni, occorre fare un salto di qualità. Troppo alto per le mie gambe”7.
Nell’ambito delle manifestazioni per il centenario della nascita di Bobbio, a conclusione delle celebrazioni, nell’ottobre del 2010 è stata organizzata una settimana di eventi e di incontri dedicati all’Elogio della mitezza. La settimana si è articolata in tre momenti: un seminario di studi, al Circolo dei lettori di Torino, con interventi di vari studiosi; la rappresentazione per quattro serate di uno spettacolo liberamente tratto dell’Elogio della mitezza, con testi di Giovanni De Luna, Vincenzo Gamna e Marco Pautasso e la regia di Koji Miyazaki; la lectio magistralis di Carlo Ossola al teatro Carignano di Torino. I contributi presentati in quella occasione, insieme al testo di scena dello spettacolo teatrale, a dieci anni dalla morte sono stati compresi in una nuova edizione dell’Elogio della mitezza, con una premessa di Andrea Bobbio8.


2. L’Elogio della mitezza viene ora nuovamente riproposto da Goffredo Fofi in saggio autonomo, nella sua forma originaria, presso le Edizioni dell’asino, esattamente venticinque anni dopo: la distanza giusta per un bilancio. Si può dire in linea generale che le varie riprese della mitezza si inseriscono nel discorso sul tema della virtù come reazione alla lunga ininterrotta stagione dell’effimero, del discontinuo, dello spettacolare, dell’occasionale, del consumo da un lato, dall’altro nella annosa discussione sulla rifondazione della politica.
Riferendosi al volume di Gustavo Zagrebelsky Il diritto mite9, Bobbio ha sottolineato “l’uso recente, non consueto, della categoria della «mitezza» applicata al «diritto», un uso in cui, vecchio lettore di libri giuridici, non mi ero mai imbattuto”10. La “mitezza costituzionale”, associata alla coesistenza e al compromesso, rimanda a un’idea “inclusiva” opposta a quella “esclusiva” della politica, che ha trovato la sua più coerente formulazione in Thomas Hobbes e in Carl Schmitt. Alla democrazia si addice di più il linguaggio della mitezza.
A ragione si è parlato di un “nuovo Bobbio” più che di un ultimo Bobbio. Quando prende le distanze dalla politica, in realtà Bobbio lascia emergere o riemergere un interesse mai spento per le problematiche più interne alla riflessione morale. Il suo distacco dalla politica e l’avvicinamento alla morale si spiega non tanto con l’incedere ineluttabile della «vecchiaia biologica», e non è nemmeno ascrivibile a una delle sue tipiche «crisi di vecchiaia psicologica» (una delle più note è quella insorta negli anni della contestazione). Quella di Bobbio è piuttosto una «vecchiaia storica» che ha le sue radici nella consapevolezza che la sua vita di uomo del Novecento è giunta alla conclusione. Se Bobbio, secondo Bobbio stesso, può essere considerato, come egli si è considerato, un moderato, un uomo del dialogo ma anche del compromesso e della ricerca del «giusto mezzo», “il Bobbio della vecchiaia” – colui che era stato l’incarnazione esemplare dell’«intellettuale mediatore» e di un pensiero pragmaticamente moderato – è un Bobbio radicale”11.
Domandandosi: “Vale la pena di salvare l’Italia?”, Paul Ginsborg risponde che esiste una nazione mite che vale la pena di salvare12. Ginsborg stabilisce una connessione tra la mitezza intesa come una virtù politica e quindi non impolitica e il cristianesimo e il Risorgimento che rappresentano entrambi nella tradizione italiana un esempio formidabile della capacità di combinare mitezza e fermezza. Occorre che il Paese si interroghi sulla sua natura e le sue ambizioni, procedendo a un riesame della propria storia, è necessario rifondare la politica attraverso un nuovo modello di cultura fondato sull’autogoverno, l’europeismo attivo, l’eguaglianza (da non confondere con l’egualitarismo). Il valore di fondo di questa rifondazione è la mitezza coniugata con la fermezza.
Per Giovanni De Luna, la mitezza è un antidoto al “paradigma vittimario”, centrale tanto nella tradizione cattolica quanto in quella comunista e mira a una sorta di restaurazione del conflitto politico dove gli attori cessano di essere “vittime da compatire e da compensare” per tornare ad essere portatori di “idee da difendere o per cui combattere13. La mitezza diventa il fondamento di una democrazia inclusiva: “una virtù sociale che per rifulgere ha bisogno dell’altro, deve essere inserita nelle profondità dei legami sociali che tengono avvinta una comunità e lì esprimere tutta la sua capacità di «creare amicizia»”14. Calata nel contesto politico, sociale, culturale, valoriale post – novecentesco italiano, la mitezza diventa il fondamento di una religione civile, se riesce ad “assumere i tratti di una più pronunciata laicità, soprattutto se la si sollecita a diventare la base di un nuovo patto di memoria”15.


3. A mio parere, la forza della mitezza sta nel suo valore impolitico, prepolitico, più che politico. In questo senso una digressione analitica, e in parte anche linguistica sulla mitezza16, non va scambiata per una proposta politica o etico politica. Osservo che la definizione bobbiana di mitezza – la più impolitica delle virtù17 – non ha nulla di persuasivo o di prescrittivo, tantomeno allude o rimanda a una sorta di programma morale o politico. Si tratta, in chiaro e perfetto stile bobbiano, d’una definizione analitica, quasi lessicale.
Ripercorriamo il ragionamento di Bobbio. La mitezza ha radici nella tradizione cristiana (i Vangeli), in quella laica (Cesare Beccaria), ma egli guarda a un’altra tradizione, quella inaugurata da Gandhi e introdotta in Italia da Aldo Capitini. Entrando nello specifico, bisogna sottolineare il carattere innovativo della definizione di Bobbio che enuclea i requisiti della mitezza attraverso la distinzione tra virtù forti, che hanno una connotazione positiva, e virtù deboli, che ne hanno una negativa (“una distinzione – ci dice Bobbio – che ignoro sia stata fatta da altri”)18.
Le virtù dei forti sono le virtù dei potenti, le virtù pubbliche: fermezza, prodezza, ardimento, audacia, lungimiranza, generosità, liberalità, clemenza; le virtù deboli sono le virtù dei deboli (che non sono gli impotenti), le virtù private: umiltà, modestia, moderazione, verecondia, pudicizia, castità, continenza, sobrietà, temperanza, decenza, innocenza, ingenuità, semplicità, mansuetudine, dolcezza, mitezza. In che senso deboli? La risposta è chiara: non nel senso che sono virtù inferiori alle altre, ma nel senso che le forti caratterizzano l’azione dei potenti, le deboli l’azione degli umiliati, degli offesi, dei poveri, dei deboli.
Sulla base delle virtù forti e delle virtù deboli, con Bobbio, possiamo tracciare il ritratto del mite. Il mite non è un arrogante, un protervo, un prepotente, nondimeno ciò non fa di lui un remissivo perché egli non rinuncia alla lotta per debolezza, paura o rassegnazione, ma rifiuta la competizione che portata alle sue estreme conseguenze si risolve in una gara distruttiva. Come non va scambiato con il remissivo, così il mite non è da confondere con l’umile: mentre l’umile è “un testimone, nobilissimo ma senza speranza, di questo mondo”, diversamente il mite è “l’anticipatore di un mondo migliore”19.
Né il mite è assimilabile al modesto che sottovaluta sé stesso. La modestia, come l’umiltà, è una disposizione verso sé stessi, invece la mitezza è un modo di essere verso l’altro. Infine il mite, nonostante l’indubbia affinità, va distinto dal tollerante. La mitezza è una donazione senza limiti, la tolleranza ha sempre limiti obbligati e prestabiliti.
Le principali virtù complementari della mitezza sono la misericordia e la semplicità, l’una un’aggiunta, l’altra la precondizione della mitezza: “per essere miti bisogna essere semplici”20. Un esempio di questo suo modo di pensare lo si può ritrovare in una lettera del 2 gennaio 1986 ad Angelo Giannone, suo collaboratore mentre era preside della Facoltà di Scienze Politiche. Commentando “l’affettuoso saluto” dedicatogli da Giannone in una pubblicazione della Facoltà, Bobbio scrive: “Voglio anche dirle che tra le varie lodi che mi sono state fatte nell’opuscolo – alcune di queste tanto esagerate che preferisco dimenticarle subito – ce n’è una che accetto volentieri perché mi pare veramente adatta a me. È quella che lei esprime con le due parole: uomo semplice. Se le sono apparso davvero un uomo semplice, questo è davvero il più ambito dei riconoscimenti.”
La semplicità è una delle virtù che egli più apprezza anche nei suoi maestri e compagni. Uno di questi è Aldo Capitini che descrive con queste parole: “Lo credevano un ingenuo e invece era soltanto un uomo semplice, di quella semplicità che non esclude l’accortezza; lo credevano nelle nuvole, e invece aveva i piedi stabilmente per terra, nella terra in cui era nato, che aveva percorso a piedi palmo a palmo, di cui conosceva la gente, le piccole storie, il suono delle campane. Difese con ostinazione, con energia, con successo, la propria indipendenza contro tutti. Non aveva ambizioni ma credeva fermamente nella propria vocazione”21.
Considerando la propria vita più di una volta Bobbio ha riconosciuto: “Mi piacerebbe avere la natura dell’uomo mite. Ma non è così”. Egli non esita a mettersi in gioco, si espone in prima persona, parlando di sé stesso e del suo cammino morale. Con la frase precedente allude alla propensione in alcune circostanze all’ira, da lui confessata nell’introduzione al De Senectute22. In primo luogo, dunque, per lui, la mitezza è una conquista personale e in questa conquista egli si sente direttamente impegnato in prima persona.


4. Riferendosi alla “dimensione utopica” del suo pensiero, Bobbio identifica il mite col nonviolento. Identificazione, non accolta dai nonviolenti, che necessita di qualche chiarimento. Che cosa intende fare Bobbio accostando la mitezza alla nonviolenza? Bobbio conosce perfettamente la differenza tra nonviolenza passiva e nonviolenza attiva e non intende assolutamente ridurre l’importanza politica della nonviolenza nel suo secondo significato. Il suo intento mi pare chiaro. Il laico Bobbio, pur rimanendo al di qua della nonviolenza, più che alla mitezza del Discorso della montagna, guarda a Capitini e attraverso Capitini a Gandhi. Trasportata sul terreno della politica, la mitezza diventa un orientamento alla nonviolenza. Il mite tende la mano al nonviolento. Se si è miti si è tendenzialmente nonviolenti, ma non si può essere nonviolenti senza essere miti23. Come amava dire il persuaso Capitini, questo “è il varco attuale della storia”; come scrive il perplesso Bobbio forse è tempo di percorrere la nuova strada. La nonviolenza come antitesi della politica è la politica del futuro.
Quale può essere la funzione che la mitezza ha nella vita privata e nella vita pubblica? La prospettiva di una convivenza «mite» fondata sul pluralismo e sul rigetto di ogni ideale di sopraffazione ha sempre meno estimatori e ai più appare né possibile né desiderabile. Non sono tempi miti. La mitezza è il contrario dell’arroganza, della protervia, della prepotenza. Essa è “una virtù paradossale che contribuisce a rendere «più abitabile questa aiuola» in cui ci troviamo a vivere”24 e mostra la sua forza durante la tempesta.
Personalmente, mi piace interpretare la mitezza come la rinuncia alla rassegnazione, una risposta individuale allo spirito dominante che vieta ogni dubbio e ogni possibile riserva, una via di fuga che “smaschera la volontà di potenza di chi vorrebbe credere e far credere che la sua umanità sia la più completa e razionale”25. In questo senso è un impegno, una ricerca, una continua scoperta, una disposizione dell’animo da coltivare, un abito a cui tendere, un compito della persona e cresce in chi la pratica.
La mitezza è un atteggiamento anti-eroico che non ostenta galloni, bandiere, divise. I miti non sopportano l’ingiustizia quanto disapprovano la violenza, non esagerano, mantengono la calma quando tutti intorno la stanno perdendo, non confondono l’equanimità con l’equidistanza, l’equilibrio con l’inazione, attraversano la vita e fanno del loro meglio per una vita più vera. Agli entusiasti e ai fanatici di ogni credo, religione o ideologia si dovrebbe e si potrebbe opporre una sorta di lega dei miti, uomini e donne comuni che nell’ora della scelta ritrovano in sé stessi i valori più antichi e più semplici: il disinteresse, la generosità, la solidarietà, l’integrità morale.

 

Note:

1. N. Bobbio, Elogio della mitezza, opuscolo allegato a “Linea d’ombra”, n. 88, dicembre 1993, con la collaborazione del Centro Studi Piero Gobetti e della CELID di Torino. Il discorso di Bobbio è stato tradotto in inglese, francese, spagnolo, arabo.

2. “Linea d’ombra, n. 93, marzo 1994, pp. 67-70. Il fascicolo successivo di “Linea d’ombra”, n. 94, maggio – giugno 1994, pp. 71-73, ospita la Risposta a Pontara di Bobbio, “un po’ risentita” e un nuovo intervento di Pontara che ribadisce il carattere politico della nonviolenza attiva. Dell’intero libro è uscita la traduzione spagnola Elogio de la templanza y otros escritos morales, Estudio preliminar por Rafael de Asis Roig, Ediciones Temas de Hoy Madrid 1997
e quella inglese In Praise of Meekness. Essays on Ethics and Politics, Translator,s Preface Teresa Chataway, Polity Press Cambridge 2000.
3. Le osservazioni di Pontara sono riprese e sviluppate da Enrico Peyretti, Sul male regnante, sulla mitezza esiliata. Note sugli scritti morali di Norberto Bobbio, in “Il Foglio. Mensile di alcuni cristiani torinesi”, a. XXV, n. 216, gennaio 1995, pp. 1-2.
4. N. Bobbio, Elogio della mitezza e altri scritti morali, Linea d’ombra Edizioni, Roma 1994, p. 7.

5. Ivi, p. 8. “L’elogio del dialogo e l’elogio della mitezza possono benissimo andare insieme e sostenersi e integrarsi l’uno con l’altro”. N. Bobbio, De senectute e altri scritti autobiografici (1996), a cura di Pietro Polito, introduzione di Gustavo Zagrebelsky, Einaudi, Torino 2006, p. 11.
6. Pratiche Editrice, Milano 1998, p. 209; in seguito in edizione tascabili, il Saggiatore, Milano 2010.
7. N. Bobbio, Verso la Seconda Repubblica, Editrice La Stampa, Torino 1997, p. XVII.
8. N. Bobbio, Elogio della mitezza e altri scritti morali, il Saggiatore, Milano 2014. Con saggi di Pietro Polito, Santina Mobiglia, Pier Cesare Bori, Gustavo Zagrebelsky, Carlo Ossola, Marco Revelli.

9. Gustavo Zagrebelsky, Il diritto mite, Einaudi, Torino 1992.
10. Le parole di Bobbio sono tratte dal paragrafo iniziale da lui premesso all’Elogio della mitezza, in occasione della ripresa del testo nella edizione del 1993.
11. M. Revelli, Nel labirinto del Novecento, in N. Bobbio, Etica e politica. Scritti di impegno civile, Mondadori, Milano 2009, p. XLVII.
12. P. Ginsborg, Salviamo l’Italia, Einaudi, Torino 2010.

13. G. De Luna, La Repubblica del dolore. Le memorie di un’Italia divisa, Feltrinelli, Milano 2011, p. 176.
14. Ivi, p. 167.
15. Ivi, p. 181. In una prospettiva etico-religiosa e pedagogica il tema è ripreso in Barbar Spinelli, Il soffio del mite. Beati i miti, Qiqajon Edizioni, Monastero di Bose 2012 e in Duccio Demetrio, La religiosità della terra. Una fede civile per la cura del mondo, Raffaello Cortina Editore, Milano 2013.
16. S. Mobiglia, L’avventura editoriale di un manoscritto ritrovato, compreso nell’edizione 2014 dell’Elogio della mitezza, cit., pp. 201-217.
17. G. Zagrebelsky, È la mitezza la più impolitica delle virtù?, Ivi, pp. 219-227.

18. N. Bobbio, Elogio della mitezza e altri scritti morali, ed. 2014, p. 35.
19. Ivi, p. 39. Nella meditazione cristiana di Gianfranco Ravasi, Ritorno alle virtù. La scoperta di uno stile di vita, Mondadori, Milano 2005, la mitezza viene inserita tra le virtù minori che coadiuvano la temperanza insieme all’umiltà, all’astinenza, alla sobrietà, alla castità, alla rinuncia (Ivi, p. 24) e non è contemplata nell’ampio “variegato mondo di proposte di nuove virtù” suggerito dall’autore (p. 115-119). Segnalo che nell’elenco delle virtù proposto dal filosofo cattolico Jean Guitton, Il libro della saggezza e delle virtù ritrovate, con Jean-Jacques Antier, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1999, compare non la mitezza ma la dolcezza associata al dialogo e alla mansuetudine (Ivi, pp. 109-112).

20. Ivi, p. 40.
21. N. Bobbio, Maestri e compagni, Passigli, Firenze 1984, p. 292.
22. N. Bobbio, De senectute e altri scritti autobiografici (1996), cit., pp. 6-7.

23. Per Giuliano Pontara le caratteristiche del nonviolento sono il ripudio della violenza, la capacità di identificare la violenza, l’empatia, il rifiuto dell’autorità, la fiducia negli altri, la disposizione al dialogo, la mitezza, il coraggio, l’abnegazione, la pazienza. Id., La personalità nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996.
24. S. Mobiglia, P. Polito, Premessa, in N. Bobbio, Elogio della mitezza, allegato al n. 88 di “Linea d’ombra” del dicembre 1993, p. 6.

25. Riprendo in una prospettiva etico politica il discorso antropologico di Adriano Favole, Vie di fuga. Otto passi per uscire dalla propria cultura, Utet, Milano, 2018, p. 92.

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