Cronache culturali - 04/19

La natura del pregiudizio
a cura di Pietro Polito


A Milano, domenica 3 marzo 2019, duecentocinquantamila persone si sono ritrovate per partecipare alla manifestazione “People. Prima le persone” contro il razzismo. Un giornale che pretenziosamente si è dato il nome “La verità” (paradossalmente di sovietica memoria: “Pravda”) ha insultato quelle persone definendo la manifestazione di Milano una “carnevalata” e il fondatore del principale movimento politico degli ultimi anni ha commentato che in Italia esiste solo “un razzismo esclusivamente mediatico”, perché “chiunque abbia un minimo di buon senso non vede alcun razzismo, ma soltanto un crescente egoismo sociale”.

Di diverso avviso sono la Società Psicoanalitica Italiana (SPI), in una lettera al Presidente della Repubblica, Mattarella, ha denunciato un “clima di intolleranza e di disumanità”, affermando che “la disumanità è un rischio costante per l’umano in cui si può scivolare quasi inavvertitamente”1.
Forse è il caso, sulla questione del razzismo e dell’antirazzismo, di ripartire da tre domande preliminari: 1. Che cos’è il pregiudizio? 2. Come nasce il pregiudizio? 3. Come ci si libera dal pregiudizio?2. Nella letteratura sul pregiudizio una delle principali opere di riferimento è il libro di Pierre André Taguieff, La forza del pregiudizio. Dal libro di Taguieff traggo una definizione sintetica di cui mi avvalgo nel ragionamento sulla genesi del pregiudizio e sulla possibilità di estirparlo dal contesto sociale. Secondo Taguieff, il pregiudizio è un “giudizio prematuro” che induce a “credere di sapere senza sapere, di prevedere senza indizi sufficienti sicuri, a trarre conclusioni senza possedere le certezze necessarie”3.
Dobbiamo a quel grande chiarificatore e sistematore di concetti che è Bobbio una chiara ed esaustiva definizione del concetto: “Per «pregiudizio» s’intende un’opinione o un complesso di opinioni, talora anche una dottrina, che viene accolta acriticamente e passivamente dalla tradizione, dal costume oppure da un’autorità i cui dettami accettiamo senza discuterli: «acriticamente» e «passivamente», in quanto l’accettiamo senza verificarla, per inerzia o per rispetto o per timore”4.
Si può quindi affermare che il pregiudizio è una verità falsa ritenuta vera e accolta come tale non perché fondata sul ragionamento ma perché derivata dalla tradizione, confermata dal costume dominante o prevalente, legittimata da una autorità considerata indiscussa e indiscutibile. Più schematicamente, ma forse più incisivamente, propongo la seguente definizione: «Il pregiudizio è un giudizio prematuro (Taguieff), che si fonda sulla tradizione, il costume, l’autorità e non su dati di fatto (Bobbio)».
Prima ancora che come, occorre domandarsi dove nasce il pregiudizio: "I pregiudizi – scrive Bobbio – nascono nella testa degli uomini. E bisogna combatterli nella testa degli uomini, cioè con lo sviluppo delle conoscenze e quindi con l’educazione, attraverso la lotta incessante contro ogni forma di settarismo”5. Senza trascurarne le cause sociali, la principale delle quali è l’immigrazione, secondo me, occorre richiamare l’attenzione sull’origine psicologica del pregiudizio. Non si ripeterà mai abbastanza, credo, che bisogna imparare a vedere il pregiudizio, diciamo pure il razzismo, prima che negli altri in noi stessi.
Esaminando le “ragioni del razzismo”, nel discorso Razzismo oggi Bobbio afferma: “Chi è senza pregiudizi scagli la prima pietra”. E, come se non bastasse, aggiunge: “C’è un po’ di razzismo in ognuno di noi”. In breve, il pregiudizio “alligna in ogni uomo”6. Se si guarda ai nostri pregiudizi più che ai pregiudizi degli altri il pregiudizio è “non già ciò che fa sì che si ignorino certe cose, ma soprattutto ciò che fa sì che ignoriamo noi stessi” (Montesquieu)7.
Dunque, il pregiudizio nasce dall’ignoranza, dall’ignoranza delle cose e dall’ignoranza di noi stessi. Il punto che a me preme più sottolineare riguarda la natura, su cui insiste molto Bobbio, irrazionale, non razionale o arazionale del pregiudizio. Quando un pregiudizio nasce nella mente di una persona, esso viene accolto “con tanta forza che resiste a ogni confutazione razionale, vale a dire a ogni confutazione che venga fatta ricorrendo ad argomenti razionali”: “Per questo si dice a buon diritto che il pregiudizio appartiene alla sfera del non razionale, al complesso di quelle credenze che non nascono dal ragionamento e si sottraggono a qualsiasi confutazione fondata sul ragionamento”8.
Riassumiamo. Primo: il pregiudizio è una credenza falsa considerata vera sulla base non di un ragionamento ma facendo appello alla tradizione, adeguandosi ai costumi consolidati, accettando acriticamente l’autorità costituita. Secondo: il pregiudizio nasce dall’ignoranza consapevole e o inconsapevole della realtà. Se è così, posto che sia possibile eliminarlo, come ci si libera dal pregiudizio? La risposta, direi, viene naturale: allargando la sfera del razionale e riducendo quella del non razionale, vale a dire correggendo i nostri errori attraverso una conoscenza adeguata, fondata su argomenti che derivano dalla nostra capacità di apprendere dall’esperienza. Se c’è una guerra personale che mi sento di combattere è quella contro il tradimento della ragione (Stephan Zweig).
Naturalmente non basta. Bobbio indica altre due condizioni. In primo luogo, il pregiudizio si combatte con la democrazia. Se per democrazia s’intende “una società in cui le opinioni sono libere e quindi sono costrette a scontrarsi e scontrandosi a depurarsi”, la democrazia non è certamente un toccasana ma può essere una formidabile scuola contro il pregiudizio: “Per liberarsi dai pregiudizi, gli uomini hanno bisogno prima di tutto di vivere in una società libera”9.
In secondo luogo è necessaria un’educazione orientata verso valori universali. Esempi di un universalismo dei valori sono il cristianesimo, la dottrina del diritto naturale, la morale kantiana, che nella massima: “Rispetta l’uomo come persona”, può essere considerata una sorta di cristianesimo razionalizzato. La democrazia è sia la precondizione sia il naturale sviluppo di una educazione universalistica. Essa non può non essere nella teoria e nella pratica inclusiva: “una democrazia non può essere «esclusiva» senza rinunciare alla propria essenza di «società aperta»”10. Al contrario il razzismo è nella teoria e nella pratica esclusivo, incompatibile con una educazione universalistica, che si basa sull’idea che al di là delle differenze di tempo e di luogo esiste una comune umanità che rende gli uomini pur nelle diversità naturali sostanzialmente uguali.
Bobbio scrive che per persuadersi della sostanziale unità del genere umano basta guardare il volto di un bambino in ogni parte del mondo: “Quando vedi un bambino, che è l’essere umano più vicino alla natura, non ancora modellato e corrotto dai costumi del popolo in cui è destinato a vivere, non scorgi alcuna differenza, se non nei tratti somatici, fra un piccolo cinese o africano o indio e un piccolo italiano. Quando vedi una madre somala che piange un figlio morto o ridotto uno scheletro, ti par di vedere una madre diversa dalle altre? Non assomiglia quel pianto al pianto di tutte le madri del mondo?”11.
La risposta alla domanda di Bobbio oggi non è affatto retorica e non appare per nulla così scontata. Dopo anni di propaganda all’insegna del “Prima gli italiani” e o dell’”Aiutiamoli a casa loro”, il volto di un bambino o il pianto di una madre non hanno più lo stesso valore a seconda della nazionalità o del colore della pelle. La volontà di respingere prevale sulla compassione. Non abbiamo la pazienza di considerare “più da vicino” lo straniero, di “conoscerlo meglio per superare la barriera delle apparenze o dei pregiudizi, la barriera dell’ignoranza”12.
Il più odioso dei pregiudizi per me è il mito della superiorità dell’uomo sulla donna oppure la leggenda dell’inferiorità femminile. Si tratta di una credenza alimentata nei secoli dalla filosofia, dalla religione, dalla politica che non regge a una elementare analisi razionale dei dati di fatto (anzi, il confronto in quasi tutte le situazioni si rivela penoso per gli uomini piuttosto che per le donne). Tuttavia, il pregiudizio persiste, resiste, dura a morire nella mente di tanti uomini abituati a pensare così perché cresciuti ed educati nei dettami di una tradizione, di un costume, di una autorità di segno quasi esclusivamente maschile.
Dico che il pregiudizio antifemminile è il più odioso perché mentre il pregiudizio razziale (per esempio verso gli ebrei) o il pregiudizio sociale (per esempio gli italiani del Nord verso gli italiani del Sud) sono forme di pregiudizio di una maggioranza verso una minoranza quello antifemminile è un pregiudizio verso una maggioranza. I pregiudizi che si sono sovrapposti fra l’uomo e la donna non riguardano una piccola minoranza ma la metà del genere umano. A ragione si può ritenere, con Bobbio, che “il movimento per l’emancipazione delle donne e per la conquista da parte loro della parità dei diritti e delle condizioni sia la più grande (io sarei tentato di dire l’unica) rivoluzione del nostro tempo”13.

 

Note:

1. M. Garzonio, Razzismo, società malata. Allarme degli psicoanalisti, “Corriere della Sera”, lunedì 1 aprile 2019, p. 24.
2. Nelle pagine seguenti riprendo e sviluppo liberalmente i temi svolti da Norberto Bobbio nella lezione La natura del pregiudizio, da lui pronunciata in apertura del corso omonimo tenuto all’Istituto tecnico industriale Amedeo Avogadro dal 5 novembre al 17 dicembre 1979, nell’ambito del programma “Torino Enciclopedia – Le culture della città” e originariamente pubblicata nel volumetto omonimo, Città di Torino, Regione Piemonte, s.d. [ma: 1982], pp. 2-15. Ora in N. Bobbio, Elogio della mitezza, Linea d’ombra, Milano, 1994; Pratiche, Milano, 1998; Il Saggiatore, Milano, 2014, con una prefazione di Andrea Bobbio e una appendice di saggi critici. 

3. P.A. Taguieff, La force du préjugé. Essai sur le racisme et ses doubles, Editions de la découverte, Paris, 1987; trad. it. La forza del pregiudizio. Saggio sul razzismo e l’antirazzismo, il Mulino, Bologna, 1994., p. 223.
4. N. Bobbio, La natura del pregiudizio, in Id., Elogio della mitezza, cit., p. 89. Cito dall’ultima edizione 2014.
5. N. Bobbio, La natura del pregiudizio, cit, p. 101.

6. N. Bobbio, Razzismo oggi, in Id., Elogio della mitezza, cit., pp. 104 e 105.
7. P.A. Taguieff, La forza del pregiudizio. Saggio sul razzismo e l’antirazzismo, cit., p. 174
8. N. Bobbio, La natura del pregiudizio, cit., p. 90.

9. Ivi, p. 101.
10. N. Bobbio, Razzismo oggi, cit., p. 112
11. Ibidem.

12. M. Bettini, Homo sum. Essere “umani” nel mondo antico, Einaudi, Torino 2019, p. 14. L’autore ricorda le parole che Didone rivolge a Enea: non ignara mali miseris succurrere disco – non ignara di mali imparo a soccorrere i miseri (Virgilio, I, 627-630), osservando che forse la regina “voleva dire che soccorrere i disgraziati non s’impara mai una volte per tutte, ma si continua a imparare, volta per volta” (p. 20).
13. Id., La natura del pregiudizio, cit., p. 99.

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