Chiave di lettura - 02/19

L’eresia di Piero Gobetti a cura di Cesare Panizza

Fin dal titolo Pietro Polito iscrive Piero Gobetti fra gli eretici della storia politica e del pensiero politico italiani, un’eletta schiera in cui potremmo enumerare personalità intellettuali fra loro assai diverse – i Salvemini, i Rosselli, i Tasca, i Silone, i Rossi, i Chiaromonte, i Capitini, i Caffi tanto per fare alcuni dei nomi più noti – esponenti di minoranze “eroicamente” anticonformiste, accomunati tutti da una sostanziale irregolarità e inclassificabilità rispetto alle culture politiche tradizionalmente dominanti il nostro paese.

L’“eresia” di Gobetti è certo tema ricorrente nella storiografia che spesso anzi ha indicato proprio in quella contestazione della società e della politica del suo tempo da parte del giovane intellettuale torinese e nelle sue conseguenti scelte di vita e politiche, il momento decisivo nella genesi di una tradizione, quella di un’Italia altra rispetto a quella che aveva prodotto il fascismo, certo votata ad essere minoranza, ma non per questo non in grado di fecondare positivamente la nostra vita nazionale. Essa si sarebbe incarnata negli anni dell’antifascismo e poi della resistenza nel movimento di Giustizia e Libertà prima e nel il Partito d’azione poi, per poi riemergere – secondo la metafora del fiume carsico cara a De Luna – puntualmente nei decenni successivi in una miriade di esperienze politiche e intellettuali, fra loro tutt’altro che convergenti.
In questa sua raccolta di scritti – nati per motivi occasionali ma coerentemente legati fra loro – Pietro Polito fa utilmente i conti con l’eresia di Gobetti, restituendocene le fonti, le radici più tenaci – se così possiamo dire –, lo spirito che la informa, i tratti salienti e la loro intima evoluzione in un processo di formazione che fu straordinariamente intenso e complesso, quanto rapido e breve. Polito conduce questa sua indagine combinando i due approcci possibili con cui tradizionalmente si guarda a Gobetti, quello storico, per natura portato a registrare il continuo mutamento di posizioni sollecitato dal contesto politico e sociale in cui gli attori storici sono immersi, e quello analitico proprio dello studioso del pensiero politico, attento invece alla dimensione ideologica e a rintracciarvi una coerenza più o meno sistematica di pensiero. È infatti convinzione di Polito che Gobetti oltre che un organizzatore di cultura di straordinario talento e un altrettanto straordinario polemista, fosse anche un teorico della politica, benché non si potette dare il lusso di edificare un sistema compiuto, in quanto attore politico egli stesso e intellettuale impegnato nel formare l’opinione pubblica con l’obiettivo di suscitare le energie nuove destinate a rinnovare la vita politica italiana.
Eretico, dunque, ma rispetto a quale chiesa? Rispetto innanzitutto al liberalismo italiano di cui avvertiva essenziale una rifondazione culturale alla luce dei cambiamenti avvenuti in una società come quella italiana che con la prima guerra mondiale e la compiuta affermazione della forma partito era approdata, fra mille contraddizioni e arretratezza, alla dimensione di società industriale di massa. Liberale del resto Gobetti sempre si dichiarò, e liberale era appunto quella rivoluzione in cui condensò il suo pensiero. Non sono quindi per Polito accettabili quelle interpretazioni di Gobetti, tutte marcatamente ideologiche, che tanto a destra quanto a sinistra ne hanno presentato negli anni il liberalismo rivoluzionario come consapevolmente o inconsapevolmente propedeutico a un suo successivo comunismo liberale. Esse nascerebbero da una incomprensione della formula
della rivoluzione liberale dove l’appassionata apologia – che tanta perplessità suscitava e suscita fra i liberali conservatori – del movimento operaio in realtà nasce dal riconoscimento che nella società moderna il conflitto non avviene più fra gli individui ma fra le classi e fra i gruppi. Proprio quell’esaltazione del conflitto, della lotta – vero nocciolo del gobettianesimo come lo chiama Polito, ma in fondo di ogni genuino liberalismo – che gli fa apprezzare non tanto il socialismo e il comunismo, quanto il marxismo, rappresenta in fondo il motivo per cui Gobetti mai avrebbe aderito a culture politiche che seppure attraverso il conflitto stesso, del conflitto predicano appunto l’estinzione. Semmai l’approdo di Gobetti sembra essere verso una nuova forma di illuminismo etico, frutto della emancipazione dalla tradizione idealistica crociana e gentiliana in cui la sua generazione era venuta formandosi. Questo illuminismo etico che sostanzia la proposta della rivoluzione liberale – che è appunto innanzitutto proposta di rifondazione di un liberalismo quello italiano, tradizionalmente troppo confidente nello Stato, in senso libertario e in nome della più estesa possibile applicazione del principio dell’autonomia, come principio di autogoverno della società estendibile anche alla sfera dell’economia capitalistica – affiora nel terzo tempo della breve e prodigiosa vita di Gobetti di cui Polito qui propone una nuova tripartizione. In quest’ultima fase, che coincide con quella (1924-26) della battaglia antifascista, il richiamo all’illuminismo, termine sul quale all’epoca era caduta una generale condanna, indica un’esigenza etica e intellettuale, di chiarezza e di intransigenza. Al tempo stesso esso designa il ruolo che l’intellettuale deve assumere nella storia e nella società, a presidio all’autonomia della cultura dalla politica e della possibilità di esercitare la critica della politica in una dimensione pedagogica. Si produce così anche una rivalutazione della democrazia, intesa sia in senso formale e procedurale, di democrazia rappresentativa, sia in senso etico-politico, quale forma di governo in cui solo può prendere forma quella rivoluzione liberale e si può dare una reale circolazione delle élite, rendendo non distruttivo, ma anzi virtuoso il conflitto sociale e politico.
Polito poi si sofferma a lungo su alcune delle radici del “gobettianesimo”. Su Mazzini, per es., ossia sul principale esponente della democrazia risorgimentale, con cui Gobetti ha un rapporto critico, pur accogliendolo all’interno della sua tradizione liberale, seppur preferendogli Cattaneo e Cavour. E sui meridionalisti, interrogandosi attorno all’interesse peculiare che il piemontesissimo Gobetti ebbe per il sud e reciprocamente sull’accoglienza che le sue idee ebbero fra gli intellettuali meridionali, fino a chiedersi se non lo si possa ascrivere in un certo senso anche alla tradizione del migliore meridionalismo.
Infine parte del libro è dedicata agli amici di Gobetti – e dunque a Gobetti dopo Gobetti – nonché alla figura di Carla Nosenzio Gobetti. In questa parte finale dove troviamo il Gobetti organizzatore di cultura e suscitatore di energie giovanili, si affaccia prepotentemente il tema dell’amicizia, della philia, forse non ancora del tutto esplorato quale risorsa e strumento di azione politica e intellettuale precipuamente gobettiano.

 

Recensione: Pietro Polito, L’eresia di Piero Gobetti, CFR collana di storia delle idee fondata e diretta da Pietro Polito e Pierfrancesco Raineri, Raineri Vivaldelli Editori Torino, Torino 2018.

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