Vivere nella pandemia

di Pietro Polito

Come sovente è accaduto, la diagnosi più efficace quanto amara è del grande Altan. Sotto il titolo “Come andrà a finire”, i suoi due omini alla finestra s’interrogano pensosi sulla situazione a un anno dal primo lockdown, mentre ne è cominciato un secondo. L’uno riflette tra sé e sé: “Chissà come finirà”. L’altro: “Finirà?!”[1]. “La complessità inedita della crisi che viviamo conferma clamorosamente l’irrazionalità, è difficile dire quanto voluta e calcolata, di coloro che nella classe dirigente – politici, intellettuali, economisti, scienziati ecc. – si ostinano a rimanere abbarbicati alle ricette del passato che hanno condotto agli attuali esiti rovinosi. Da Gobetti abbiamo imparato che il fascismo non è stato una parentesi nella storia d’Italia ma l’autobiografia della nazione. Analogamente si può dire che la pandemia non è una parentesi, una malattia improvvisa che attacca un corpo sostanzialmente sano per cui, iniettando una sostanza, un organismo sofferente tornerà a vivere prosperamente. La pandemia è l’autobiografia della specie[2].

A un anno di distanza dal manifestarsi della pandemia in Italia, mi vado convincendo, purtroppo, che la similitudine gobettiana che avevo avanzato nell’aprile 2020, elogiando la forza mite della cultura, ha non poco fondamento. Al momento la malattia con le sue conseguenze si rivela più forte del rimedio, il vaccino, e la cultura si mostra impotente nel contrasto alla paura. Eppure, richiamandosi idealmente all’insegnamento di Piero Gobetti, il compito della cultura – s’intende la cultura dell’iniziativa – rimane quello di fare storia del presente. Sbaglieremmo a considerare l’anno malo concluso allo scoccare della mezzanotte del 31 gennaio scorso. Nel 2021 la “notte” che abbiamo vissuto in Italia e non solo in Italia non è ancora passata[3]. Esserne consapevoli sarebbe un modo per meglio considerare, come dice il poeta/cantautore Ivano Fossati, “la fortuna di vivere adesso / Questo tempo sbandato / Questa notte che corre / E il futuro che arriva / Chissà se ha fiato”.

La pandemia ha reso più evidenti, accentuandole, le differenze tra i ricchi e i poveri, fra i cosiddetti Paesi sviluppati e i Paesi del Terzo/Quarto mondo. Il virus ha gettato nel panico i presunti campioni della modernità che a loro volta alimentano il diffondersi del panico abdicando a ogni forma di razionalità proprio nel momento in cui i comportamenti delle autorità dovrebbero risultare lineari e trasparenti. Basti pensare al modo inquietante e poco rassicurante in cui viene “governata” la campagna vaccinale. Mentre le classi dirigenti si rivelano incapaci di ponderare i rischi, i dimenticati dal progresso affrontano lo stesso problema con una composta accettazione che confina con la rassegnazione. La Terra è malata e siamo noi che l’abbiamo fatta ammalare. Se non invertiamo la rotta, non riusciremo a garantire la nostra salute, l’occupazione e tanto meno l’uguaglianza.

Anche se mi auguro che sia smentita dalla realtà, penso che la profezia fatta dallo scrittore Erri De Luca non sia né improbabile né inverosimile: “Italia a volto coperto. Queste mascherine non ce le toglieremo più”. Secondo lo scrittore, “quando il virus sarà debellato, e non sarà questione di mesi, conserveremo l’abitudine a indossarle. Ci diremo che la mascherina non ci fa prendere l’influenza (ed è vero) e ci diremo che serve come segno di solidarietà, perché l’infezione sarà sempre possibile e ciascuno di noi potrà essere l’untore. Quindi accetteremo l’esito”. Alla domanda: “A volto coperto cos’altro scopriremo?”, risponde: “Tanti nuovi poveri tra i nostri amici”[4].

La pandemia non ci ha reso né migliori né peggiori. Vi ricordate i primi giorni di questa “malattia”? I canti ai balconi? Le bandiere alle finestre? Che cosa è rimasto di quel sentimento di fratellanza che gli ottimisti hanno interpretato come un rinnovato spirito di unità nazionale? Nella pandemia viviamo (i più) spensieratamente, un po’ egoisticamente, come se fossimo (ancora) padroni del nostro domani, come se non ci fosse stato il lockdown, come se, l’8 marzo 2021, non avessimo superato la cifra inconcepibile, fortemente simbolica, di 100.000 morti: “la nostra Spoon river”[5].

Impegnati in “una corsa contro il tempo” che ci impone di “capire quanto ancora sia grave la sfida che abbiamo davanti”[6], senza passato e forse senza futuro ci ostiniamo, nella convinzione fallace che viviamo in un “trionfale presente”, per ora sospeso, credendo, nonostante le dure repliche della pandemia, di esserci lasciati alle spalle o di poter sconfiggere tutti i mali che hanno afflitto e affliggono l’umanità (Yuval Noah Harari). Di diverso avviso è lo storico Adriano Prosperi, di cui condivido il pessimismo[7]. Con lui, ritengo che non si possa più non tenere conto della storia naturale, vale a dire della vita della terra e delle altre specie, inclusi i virus, i terremoti e il clima, “senza di che, l’illusione di essere i figli prediletti di Dio e i padroni di tutto ci condurrà alla rovina”. Stiamo assistendo a un mutamento profondo. Dopo il Covid, se ci sarà un dopo, scopriremo che “il ritorno alla normalità sarà tutto fuorché normale”[8].

Faccio miei i buoni consigli di Liliana Segre che ci ha insegnato il dovere di non dimenticare. La cifra simbolica di 100.000 morti è “una tappa spaventosa, lascia sbalorditi, soprattutto perché le vittime di questa guerra feroce sono causate da un nemico invisibile”[9]. Che cosa possiamo/dobbiamo fare di fronte a un nemico che muta e cambia in continuazione “come se volesse spiazzarci, dirci tutta la nostra impotenza”[10]? Vivere in modo vigile. Informandoci, stando attenti a noi stessi e agli altri, rispettando le regole più elementari della convivenza civile, avendo cura dell’ambiente che è la nostra casa, impegnandoci perché la somma delle nostre paure non sia un ritorno a come eravamo.

Domenica 21 marzo 2021, inizio della seconda primavera nell’età della pandemia, durante la trasmissione televisiva “Omnibus” su “La Sette”, ho ascoltato la notizia che i morti per Covid nel mondo sono 2 milioni e settecentomila. Agli ottimisti troppo fiduciosi preferisco i pessimisti costruttivi che ci invitano ad “andare avanti, anche nei momenti più duri, un passo dietro l’altro, con coraggio”[11]. La nostra intelligenza è la principale risorsa – se non l’unica – che abbiamo per preparare la stagione della rinascita, del rinnovarsi della vita, del risveglio e del ricominciamento.

Domenica 21 marzo 2021 è il 90° anniversario della nascita di Alda Merini (Milano, 1931 - 1° novembre 2009). A lei dobbiamo dei versi sulla primavera che sono di speranza e di attesa.

Sono nata il ventuno a primavera

Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera
[12].

 

Note:

[1] “la Repubblica”, “Robinson”, sabato 20 marzo 2021, p.1.

[2] Pietro Polito, La cultura dell’iniziativa, aras edizioni, Fano (PU), 2020, p.27.

[3] “Se un anno fa, quando per la prima volta nella vita iniziavo a comprare mascherine, gel disinfettanti e un saturimetro, mi avessero detto che un anno dopo saremmo stati nella stessa situazione di prima, solo un po’ più cinici, non ci avrei mai creduto. [...] Dopo un anno di lockdown pesanti, lockdown leggeri, conteggio quotidiano dei morti, lezioni sospese, lezioni in Dad, coprifuoco, Natale perduto, genitori in visita solo su zoom, dopo un anno di stravolgimento totale della nostra vita, siamo di nuovo nel punto esatto, o quasi, da cui siamo partiti”. Annalena Benini, Se un anno fa mi avessero detto: tra un anno sarà tutto uguale, “Il Foglio Quotidiano”, venerdì 12 marzo 2021, p. 1 (supplemento “Il Figlio”).

[4] Antonello Caporale, Italia a volto coperto. Queste mascherine non ce le toglieremo più, intervista a Erri De Luca, “Il Fatto quotidiano”, lunedì 8 marzo 2021, p.5.

[5] Così titola in prima pagina il quotidiano comunista “il manifesto” (9 marzo 2021). Altrettanto significativo, lo stesso giorno, è il titolo di apertura del quotidiano cattolico “Avvenire”: “Centomila croci d’Italia”, di “La Stampa”: “Centomila” e di “Domani”: “Centomila morti di Covid. Così la tragedia ha scavato un abisso nell’inconscio”. Invece, “la Repubblica” è uscita con una sovra copertina di 4 pagine, con il titolo “Centomila” e le fotografie di alcune delle vittime.

[6] Francesco Bei, Una corsa contro il tempo, “la Repubblica”, martedì 9 marzo 2021, p.1.

[7] Adriano Prosperi, Un tempo senza storia, Einaudi, Torino, 2021.

[8] Antonio Gnoli, Sono uno storico e il mio mestiere è in estinzione, intervista a Adriano Prosperi, “la Repubblica”, “Robinson”, sabato 6 marzo 2021, p.43.

[9] Zita Dazzi, È una guerra. Piango per gli anziani, intervista a Liliana Segre, “la Repubblica”, martedì 9 marzo 2021, p.7.

[10] Ibidem.

[11] Zita Dazzi, È una guerra. Piango per gli anziani, intervista a Liliana Segre, cit., p.7.

[12] Da Alda Merini, Vuoto d’amore, Einaudi, Torino, 1991.

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