L’ora della tecnica? Rileggendo Norberto Bobbio
di Pietro Polito


Gli sviluppi della crisi politica in Italia più pazza del mondo hanno portato all’incarico da parte del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella al grande tecnico Mario Draghi di formare “un governo di alto profilo, non identificato con nessuna formula politica”. L’ora della tecnica è stata salutata (pressoché) unanimemente (conformisticamente) come l’avvento di una nuova era e la scelta di Draghi come la designazione di un demiurgo che con i suoi poteri taumaturgici, dopo avere salvato l’Europa, salverà l’Italia. L’intera (pressoché) stampa nazionale, i media, i social salutano il nuovo Presidente del Consiglio, indicato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, accolto (o subito) dai partiti alla luce del proprio fallimento, come il garante della volontà di stare in Europa, un elemento di discontinuità rispetto al passato e un fattore di progresso assicurato rispetto al futuro. Con la nascita del governo Draghi si apre (aprirebbe) “una stagione entusiasmante (speriamo)” che archivia (archivierebbe) le parole chiave di una stagione (frettolosamente) ritenuta passata: populismo, nazionalismo, sovranismo, protezionismo, antieuropeismo sostituendole con quelle della stagione nuova: crescita, competenza, ripartenza, resilienza, realismo, riformismo. Ma la parola chiave del momento è fiducia: “la fiducia da ridare agli italiani”, “la fiducia da ridare a chi vuole investire in Italia”, “la fiducia da creare nel rapporto tra i cittadini e le istituzioni”: la fiducia nel futuro[1]. Personalmente preferisco pensare al governo Draghi come a un “temporaneo presidio”(Andrea Camilleri)[2] e le mie speranze sono più contenute: mi auguro che Draghi e i suoi tecnici riescano a mettere in sicurezza le persone portando il Paese fuori dall’emergenza pandemica. Primum vivere.  

Non è la prima volta che la politica cede il passo, s’inchina, si sottomette alla tecnica. Infatti, l’era Draghi viene dopo quelle di Ciampi e di Monti. Eppure, se ci si vuole interrogare in modo non superficiale sui rapporti tra politica e tecnica, un tema ricorrente che attraversa la storia del pensiero politico dai greci ad oggi, bisogna tornare ancora più indietro e risalire almeno fino agli albori della nostra Repubblica. Si tratta di un esercizio non solo intellettuale ma direi in senso lato politico che può rivelarsi un possibile antidoto contro la memoria corta e che può fornire alla politica e agli analisti politici spunti e chiavi di lettura per meglio capire ciò che sta accadendo o accadrà in Italia.

La questione ricorre in modo significativo negli scritti politici di Norberto Bobbio tra il '45 e il '46, quando il filosofo, interrogandosi sulla “politica” del Partito d’Azione riflette sulla natura della politica nei suoi rapporti con la tecnica dal punto di vista di una “politica laica”[3]. Quali sono i caratteri della politica laica? Anticipo la risposta di Bobbio: la politica laica è una “politica tecnica” e insieme una “tecnica politica”.

Se ci riportiamo con la mente alla metà del ’44, quando era in atto un “gigantesco sommovimento di idee e di costumi”, si comprende l’esigenza di “chiarimento” avanzata da Bobbio (“L’ora dell’azione”, organo del Fronte degli intellettuali, 1944). Tra le questioni da chiarire per il filosofo emerge urgente in primo piano proprio quella dei rapporti tra politica e tecnica. La prospettiva da cui muove un Bobbio militante, esponente del Partito d’Azione, attivo nel Fronte degli intellettuali si può riassumere nella formula: “politicizzazione della tecnica” e  “tecnicizzazione della politica”. Che cosa significa?

Auspicando una connessione tra politica e tecnica, per tecnica Bobbio intende l’insieme delle norme e dei procedimenti dei saperi e non solo puramente e semplicemente come si fa nella cronaca politica di questi giorni, la “scienza dei conti dello Stato in ordine”. Così intesa la tecnica – il complesso delle conoscenze intellettuali e applicate  - la sua scissione dalla politica produce da un lato il “politico incompetente” (il “politicantismo”, che è la politica svolta senza cognizioni specifiche) dall’altro il “tecnico apolitico” (l’“apoliticismo”, che è la tecnica che considera molesta e invadente la politica). La “politicizzazione della tecnica” è l’antidoto all’apoliticismo, la “tecnicizzazione della politica” il rimedio al “politicantismo”.

Bobbio sviluppa il tema in due articoli con lo stesso titolo Politica e tecnica (rispettivamente in “L’ora dell’azione”, gennaio 1945, e in “GL”, Quotidiano del Partito d’Azione, 1° giugno 1945). Il primo articolo è finora sfuggito ai bibliografi forse perché non firmato,  ma che  si tratti di un articolo certamente di Bobbio lo si ricava dal titolo analogo a quello uscito in “GL. Quotidiano del Partito d’Azione” nel giugno 1945 e soprattutto dal fatto che in entrambi i testi si sostiene la medesima tesi procedendo per concetti, grandi categorie e antitesi dottrinarie in perfetto e chiaro stile bobbiano.

Nell’attacco dell’articolo del gennaio 1945 si avvertono suggestioni gobettiane. La “crisi permanente” in cui versa la vita pubblica italiana trova le sue radici nella “soluzione diplomatica e non popolare del Risorgimento”, da cui si è originato lo stato italiano. Si tratta di una crisi “acuita e diffusa dal fascismo” e da anni di “predicazione dottrinale di degenerato liberalismo” che hanno formato negli italiani un’idea dello stato come “un nemico che bisognava temere, o perlomeno un amico premuroso ma rovinoso da cui bisognava guardarsi”. Ebbene, l’espressione più evidente della crisi è la separazione, se non l’incomunicabilità tra pubblico e privato, stato e individuo. Dentro questa separazione più generale Bobbio colloca quella più specifica tra politica e tecnica.

Per il tecnico la politica è “un affare che non lo riguarda”, mentre “al politico ogni conoscenza specifica, ogni preparazione scientifica o dottrinale, che non sia volgarmente enciclopedica, appare superflua o addirittura ingombrante”. Bobbio vede nel tecnico apolitico e nel politico incompetente i personaggi principali del “dramma nazionale”. È un circolo vizioso perverso: “quanto più aumenta l’apoliticità dei tecnici – osserva Bobbio –, tanto più aumenta l’incompetenza dei politici: i due personaggi si tengono per mano e vanno di pari passo”. Soffermiamoci sul politico incompetente. Questi anziché fondare la sua attività pubblica sui problemi tecnici particolari, la poggia “sulle sabbie mobili della competenza generica, della sensibilità per le correnti dominanti, della capacità di destreggiarsi, riduce la politica a gioco d’intrigo a sfogo d’ambizioni”.

La posizione sostenuta da Bobbio è l’unificazione tra la politica e la tecnica nell’alveo dello stato democratico: l’unificazione tra le due sfere – afferma – “appare più che mai l’essenza della democrazia”, che per sua stessa natura e ancor più attraverso le sue pratiche e le sue procedure favorisce da un lato la “politicizzazione della tecnica” dall’altro la “tecnicizzazione della politica”.

Politicizzazione non significa corporativismo come accade nei regimi totalitari, come è accaduto nel fascismo. Una cosa è riunire la politica e la tecnica sotto la dittatura, altra cosa è riunirle in democrazia. Qual è la differenza? Risponde Bobbio: “Lo stato democratico non ha un’opinione ufficiale ma semmai soltanto un’opinione pubblica: l’opinione ufficiale è il principio del dispotismo. Perciò qui [in democrazia] riunire la politica alla tecnica  vuol dire ricondurre la politica alla sua vera fonte che è il lavoro costruttivo, e non l’intrigo, vuol dire condurre la tecnica al suo sbocco naturale che è la costruzione non solo di macchine e di istituti, ma di un nuovo costume e di una nuova civiltà”.

A distanza di un anno, nel secondo articolo Politica e tecnica (giugno 1945), Bobbio ritiene che le formule agitate dal Fronte degli intellettuali “possono considerarsi oggi attuali come non mai”[4], perché “il vecchio dissidio tra politica e tecnica risorge”[5], e risorge non tanto nella forma del politicantismo quanto piuttosto in quella dell’apoliticismo. Ironicamente Bobbio richiama l’attenzione sulla rivolta dei tecnici contro la politica dei Comitati di Liberazione. Infatti, “gli uomini della tecnica”  proclamano che “con la politica non vogliono avere a che fare, che vogliono essere lasciati liberi di lavorare in pace, di «ricostruire», che loro insomma sono e vogliono essere apolitici”[6].

La posizione di Bobbio è netta e ha ancora una volta un’ascendenza gobettiana, del Gobetti di cui è nota la “guerra agli apolitici”. Gobetti ammette ma non concede che in politica si possa avere “un atteggiamento di meri dialettici e di tecnici” e pone l’alternativa ricorrente nella storia d’Italia: “O nella corte dei nuovi padroni o all'opposizione. Chi sta in mezzo non è indipendente, né disinteressato”. Scegliendo per sé stesso una “opposizione senza illusioni e senza ottimismi”, critica il “politicantismo dei trafficanti” e auspica la preparazione di “una classe dirigente più colta, di una più viva coscienza dei problemi politici”[7].

Analogamente Bobbio sostiene che l’“apoliticità della tecnica” non sia un antidoto all’invadenza della politica ma che in realtà possa rivelarsi la via più sicura per un rapido ritorno al fascismo: “Tecnica apolitica vuol dire in fin dei conti tecnica pronta a servire qualsiasi padrone […]; tecnica apolitica vuol dire soprattutto che la tecnica è forza bruta, strumento e come tale si piega al volere e agli interessi del primo che vi ponga le mani”[8].

Fin qui Bobbio. E oggi? Proviamo a domandarci: “Il governo Draghi come si colloca rispetto la processo di tecnicizzazione della politica e di politicizzazione della tecnica auspicato da Bobbio fin dalle origini della Repubblica?”[9]. Dopo quello gialloverde e quello giallorosso, anche se sembrava impossibile, abbiamo “un governo di un tricolore assolutamente inedito: dove almeno due di quelle tinte (il rosso e il verde) sembravano non poter (non dover) stare assieme mai”[10]. Occorre dire, quindi, che il nuovo esecutivo non corrisponde al mandato presidenziale di dare vita a un governo “non identificato con nessuna formula politica”. Anzi esso riflette più formule politiche contraddittorie ed opposte tra di loro tanto che a buon diritto può essere definito “un governo politico in salsa tecnica”[11].

Alla base del nuovo governo stanno un piccolo e un grande compromesso. Il piccolo compromesso è quello tra le forze politiche che, con la sola esclusione di Fratelli d’Italia all’opposizione, in un perfetto equilibrismo politico siederanno al tavolo da comprimari. A sinistra l’unica voce fuori dal coro in Parlamento sarà quella della (piccolissima) Sinistra italiana. I posti a tavola, in consiglio dei ministri, sono stati cosi assegnati: al partito dei tecnici 9 caselle: il Sottosegretario alla presidenza e 8 ministeri: Giustizia, Economia,Transizione ecologica, Interno, Istruzione, Infrastrutture, Innovazione tecnologica, Università; al partito dei politici 18 caselle così suddivise: Cinque stelle (partito di maggioranza relativa): Politiche giovanili, Esteri, Agricoltura, Rapporti con il parlamento; Partito democratico (principale azionista di riferimento della maggioranza uscente): Difesa, Lavoro, Cultura; Lega (new entry): Sviluppo economico; Disabilità, Turismo; Forza Italia (new entry): Affari regionali, Sud e coesione territoriale, Pubblica amministrazione; Italia viva (il partito che ha aperto la crisi di governo[12]): Pari opportunità e famiglia; Liberi ed uguali (il partito più di sinistra in Parlamento): Salute. Non c’è posto per le altre new entry: Azione, Più Europa, Responsabili. Quanto alla parità di genere, un’altra occasione persa: le donne sono la metà degli uomini e la sinistra – vecchia storia!!! – non è riuscita a esprimere nemmeno una ministra[13].

Il piccolo compromesso politico poggia sul grande compromesso (non storico) tra politica e tecnica. Ciò che a cui stiamo assistendo non va né nella direzione né della “politicizzazione della tecnica” né della “tecnicizzazione della politica”. La tecnica – una “tecnica apolitica” – si rinserra nella sua presunta apoliticità;  la politica – una “politica atecnica” – abdica al suo ruolo riconoscendo la propria incompetenza nelle materie di governo più spinose e delicate per la vita delle persone. La tecnica si occuperà delle cose che contano, la politica di quelle (ritenute) superflue tanto che si è potuto affermare che “la politica, nata per sbrogliare i gomitoli dei problemi sociali, è diventata il gioco del passarseli al volo”[14]. Nei prossimi tempi, non saprei dire quanto pacificamente, ma è facile immaginare a poco a poco in modo sempre più conflittuale, le due sfere conviveranno come in due mondi paralelli e incomunicanti[15]: da una parte il governo dei competenti, dall’altra il governo degli incompetenti. Una inedita e inimmaginata riproposizione di un non nuovo intreccio nella storia della Repubblica tra governo, sottogoverno e criptogoverno. Ai migliori forse viene pagato un prezzo troppo alto: da  un lato l’eclissi dell’opposizione[16], dall’altro, in nome di un “consensualismo gestionale”, “l’abdicazione della politica”[17].

Mentre si apre una nuova era all’insegna del primato della tecnica, non guasterebbe ribadire che il primato della politica sulla tecnica, – certo di una politica rinnovata all’altezza delle sfide del tempo –, perché “la manutenzione del presente la può fare qualunque funzionario, ma sul futuro del Paese è solo il politico ad avere il dovere della profezia”[18]. Riprendendo le tesi di Bobbio, la connessione tra la politica e la tecnica è una delle caratteristiche della politica laica. Questa si fonda sulla conoscenza dei problemi e considera il ricorso alla tecnica nella vita politica uno degli strumenti  necessari per lo sviluppo e il rinnovamento della democrazia, purché la tecnica e la politica si assumano in modo trasparente ciascuna le proprie responsabilità e la libertà rivendicata dagli apolitici non si risolva nella “libertà di servire, a seconda degli eventi, il vecchio o il nuovo padrone”[19].

Le  linee programmatiche del nuovo governo illustrate al Presidente del Consiglio Mario Draghi il 17 e 18 febbraio al Senato e alla Camera dei deputati possono essere lette sia come un “manifesto per una «nuova ricostruzione italiana» ... di impronta tendenzialmente «liberalsocialista»”[20] sia come un “vasto programma” ispirato a “una idea di aziendalizzazione del paese in una sorta di berlusconismo di ritorno: il sistema Italia come un’azienda affidata a un buon padre di famiglia che rimette a posto il bilancio con un neoliberismo temperato”[21]. Ebbene, se l’alternativa è tra liberalsocialismo (sia pure annacquato) e neoliberismo (sia pure temperato), è come dire che, nonostante i de profundis che si sono succeduti negli ultimi decenni, il dilemma rimane ancora: “Destra o sinistra?”.

La politica cacciata dalla finestra rientra dalla porta e si prende(rà) la sua rivincita sulla tecnica. Quale politica? La politica – qui s’intende – non come volontà di dominio ma come volontà di giustizia. La politica che si fonda su degli ideali. A coloro che pensano che parlare di ideali e di valori a proposito dell’azione politica sia fare un discorso fuori del tempo si può obiettare che proprio questo modo di ragionare suscita in noi, e non solo in noi, insofferenza, incredulità, fastidio, fastidio per coloro che vedono nella lotta politica solo una lotta per il potere: senza grandi ideali si fa soltanto della piccola politica, e la piccola politica finisce di divorare se stessa[22].

 

Note:

[1] Fiducia e capitale umano: le parole da cui dipende il successo del governo, “Il Foglio quotidiano”, lunedì 15 febbraio 2021, pp. 1 e 4. Con varie sfumature sulla stessa linea: “la Repubblica”, “Corriere della Sera”, “Domani”, “La Stampa”. Per Stefano Folli,  “non è un governo esplosivo e rivoluzionario. Non è un governo che abbaglia. O che soddisfa tutte le attese, davvero troppe che si erano create”. Tuttavia, si tratta del “risultato migliore, o il più decente, a cui si poteva aspirare nelle condizioni date” (Nel segno dell’equilibrio, “la Repubblica”, sabato 13 febbraio 2021, pp. 1 e 2). Più entusiasta Antonio Polito: “Avevamo sperato di avere un governo migliore e possiamo dire di averlo avuto” (L’interesse nazionale, “Corriere della Sera”, sabato 13 febbraio 2021, p. 1). Per Stefano Feltri, “sarà il governo dei migliori costretti dalla scelta di Draghi e di Mattarella di responsabilizzare la politica invece che escluderla, a salvare il paese insieme ai peggiori” (I migliori e i peggiori costretti a stare insieme, “Domani”, sabato 13 febbraio 2021, p. 1). Per Massimo Giannini,  non è il  “governo dei migliori” ma il “governo migliore che realisticamente si è potuto assemblare” (Lo spirito dell’unità nazionale, “La Stampa”, domenica 14 febbraio 2021, p. 23). Di segno opposto il giudizio di Marco Revelli: “il «miracoloso» governo di Mario Draghi”, da un lato è “un governo ibrido, in cui l’élite tecnica siede su un tappeto di macerie costituite da un sistema dei partiti profondamente lesionato dove ogni forza politica si presenta negando una parte di se stessa e ogni cultura politica appare dissolta”, dall’altro è “un’impresa arrischiata” che appunto “rischia di sfidare le leggi fisiche della politica, con esiti potenzialmente infausti” (Un altro deus ex machina sul piano incrinato della crisi, “il manifesto”, 16 febbraio 2021, p. ...).

[2] Andrea Camilleri, La paura di Montalbano, Mondadori, Milano  2002, p. 36.

[3] N. Bobbio, Tra due repubbliche. Alle origini della democrazia italiana, con una nota storica di Tommaso Greco, Donzelli, Roma 1996.

[4] N. Bobbio, Tra due repubbliche. Alle origini della democrazia italiana, cit., p. 4.

[5] Ibidem.

[6] Ivi, p. 5.

[7] P. Gobetti, Guerra agli apolitici, in “La Rivoluzione Liberale”, a. 3, n. 10, 4 marzo1924, p. 40; ora in Id., Scritti politici (1960), a cura di P. Spriano, Einaudi, Torino 1997, pp.

[8] N. Bobbio, Tra due repubbliche. Alle origini della democrazia italiana, cit., p. 5.

[9] Do la squadra del governo Draghi: Sottosegretario alla presidenza: Roberto Garofoli (tecnico); Giustizia: Marta Cartabia (tecnico); Economia: Daniele Franco (tecnico); Sviluppo economico: Giancarlo Giorgetti (Lega); Transizione ecologica: Roberto Cingolani (tecnico); Politiche giovanili: Fabiana Dadone (Cinque stelle); Interno: Luciana lamorgese (tecnico); Istruzione: Patrizio Bianchi (tecnico); Esteri: Luigi Di Maio (Cinque stelle); Agricoltura: Stefano Patuanelli (Cinque stelle); Disabilità: Erika Stefani (Lega); Affari regionali: Mariastella Gelmini (Forza Italia); Infrastrutture: Enrico Giovannini (tecnico); Innovazione tecnologica: Vittorio Colao (tecnico); Pari opportunità e famiglia: Elena Bonetti (Italia Viva); Difesa: Lorenzo Guerini (Partito democratico); Università: Cristina Messa (tecnico); Salute: Roberto Speranza (Liberi e Uguali); Sud e coesione territoriale: Mara Carfagna (Forza Italia); Pubblica amministrazione: Renato Brunetta (Forza Italia); Rapporti con il parlamento: Federico d’Incà (Cinque stelle); Lavoro: Andrea Orlando (Partito democratico); Cultura: Dario Franceschini  (Partito democratico); Turismo: Massimo Garavaglia (Lega).

[10] Federico Geremicca, Quattro nemici in coabitazione, “La Stampa”, sabato 13 febbraio 2021, p. 29.

[11] Norma Rangeri, Cencelli in salsa tecnica, “il manifesto”, sabato 13 febbraio 2021, p. 3. Per Marco Revelli,

[12] Il suo leader, Matteo Renzi, a suo dire, è stato l’autore di un miracolo perché la «machiavellica» operazione da lui ideata si è realizzata in pieno.

[13] “Parole, tante. Dichiarazioni di intenti, quote, proclami. Alla prova dei fatti, poi la sinistra non porta donne al governo. Zero, dal Pd e da Leu. E’ tristissimo, è antistorico – desolante guardare al resto del mondo – ma è così: inconfutabile” (Concita De Gregorio, Se la sinistra dimentica le donne, “la Repubblica”, sabato 13 febbraio 2021, p. 1). “... da forze di sinistra ci si sarebbe aspettati uno sforzo in più. Almeno lo stesso che hanno saputo fare Berlusconi e Salvini e Berlusconi” (Francesca Schianchi, Ministre, la parità può attendere, “La Stampa”, sabato 13 febbraio 2021, p. 29). “Solo 8 donne su 23 ministri sono la conferma che tutto in Italia può cambiare, salvo la tenace difesa della quota maschile nei luoghi del potere” (Chiara Saraceno, Sinistra, vergogna offendi le donne, “La Stampa”, domenica 14 febbraio 2020, p. 29). “La delusione è forse più forte, stavolta, per via dellpaura miracolosa che aleggia sul nuovo presidente del consiglio. Nonostante la nomina di alcune donne in posizioni di rilievo, nemmeno l’uomo della provvidenza ha invertito la logica italiana dell’«old boys», forse perché già impegnato nell’impresa effettivamente soprannaturale della sintesi politica degli opposti” (Giorgia Serughtetti, La parità di genere non è solo un problema di numeri e di leadership, “Domani, lunedì 15 febbraio 2021, p. 10.

[14] Pino Corrias, Serve l’immunità di gregge dalla politica commissariata, “Il Fatto Quotidiano”, martedì 16 febbraio 2021, p. 11.

[15]Claudio Tito, Una squadra di rivali, “la Repubblica”, sabato 13 febbraio 2021, pp 1 e 4: “ Non a caso la compagine sembra costruita con uno schema che prevede due cerchi concentrici. Il primo è quello dei «tecnici puri». Gli uomini che Draghi si è scelto per formare la squadra dedicata alle riforme. [...] C’è poi il cerchio che comprende i «politici» che hanno l’incarico di contestualizzare le riforme” (p. 4).

[16] “L’opposizione svanisce in una maggioranza bulgara indistinta. Avanti, c’è posto sul tram che ci guiderà, si spera, fuori dalla palude. Poi liberi tutti.  Arrivederci opposizione. Torna, dunque. A patto che tu sia diversa, però. A patto che tu sia «responsabile» non solo quando ti devi salvare i voti e l’anima” (Gigi Riva, Opposizione, “L’Espresso”, 14 febbraio 2021, p. 7). Cfr. Nadia Urbinati, Il governo omnibus con l’opposizione incorporata, “Domani”, martedì 16 febbraio 2021, p. 1.

[17] Donatella Di Cesare, Il prezzo che paghiamo ai migliori, “L’Espresso”, 14 febbraio 2021, p. 29. “Per dirlo con una formula, le ragioni tecniche per cui Draghi è stato scelto diventano con il governo il nucleo della sua identità politica” (Ezio Mauro, Il ceto del cambiamento, “la Repubblica”, lunedì 15 febbraio 2021, p. 25).

[18] Michela Murgia, Perché non mi piace la parabola del Salvatore, “L’Espresso”, 14 febbraio 2021, p. 98.

[19] N. Bobbio, Tra due repubbliche. Alle origini della democrazia italiana, cit., p. 6.

[20] Giancarlo Giannini, La posta in palio è semplicemente la democrazia, “La Stampa”, giovedì 18 febbraio 2021, p. 1.

[21] Norma Rangeri, Non bastano le buone intenzioni, “il manifesto”, giovedì 18 febbraio 2021, p. 2.

[22] N. Bobbio, L’esempio di Silvio Trentin. Scritti 1954-1991, a cura di Pina Impagliazzo e Pietro Polito, Firenze University Press, Firenze 2020, p 48.

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