Resistenza e filosofia in un libro di Elisa Destefanis

di Cesare Pianciola

 

 

Il libro di Elisa Destefanis Resistenza e filosofia nel pensiero di Norberto Bobbio, Pietro Chiodi e Luigi Pareyson (Faber & Sapiens-Ápeiron Ediciones, Madrid 2019, pp. 111, s. i. p.) deriva da una tesi di laurea interessante e argomentata, che parte dalla esperienza resistenziale di Bobbio, Chiodi e Pareyson per sottolineare più le affinità che le differenze – che pure rileva – tra le loro posizioni filosofiche.

Chiodi nella Resistenza ebbe rapporti con Pareyson, attivo nel Partito d'Azione, e in una nota di Banditi datata 13 giugno 1944, poco prima di essere catturato  dalle milizie fasciste e deportato, scriveva: "Sono fondamentalmente d’accordo con lui. Bisogna andare il più possibile verso sinistra senza compromettere la libertà". Pareyson tra la fine degli anni trenta e la prima metà degli anni quaranta – giovanissimo –  aveva scritto opere importanti su Jaspers e sull'esistenzialismo e Chiodi studiava Heidegger, del quale divenne traduttore e interprete subito dopo la guerra. Tuttavia non era vicino al personalismo di Pareyson, mentre personalista era stato invece Bobbio che era partito dalla fenomenologia (da poco è stato ristampato da Giappichelli il suo primo libro del 1934 L'indirizzo fenomenologico nella filosofia sociale e giuridica, e al giovane Bobbio dà ampio spazio la vasta biografia intellettuale di Mario Losano uscita da Carocci nel 2018). Bobbio si era molto interessato all'esistenzialismo e terminava il pamphlet La filosofia del decadentismo (1944) delineando, in contrasto con le filosofie dell'esistenza, un nuovo personalismo socialmente impegnato, che si rifaceva alla eredità razionalistica e illuministica. "Tenendo fermo il punto che persona significa individuo innalzato a valore – diceva –, la via da seguire è quella di trovare il valore dell'individuo nella storicità della sua esistenza, che è esistenza con gli altri, di giungere pertanto ad una fondazione non più metafisico-teologica, ma storico-sociale della persona". In senso inverso andava invece Esistenza e persona di Pareyson (uscito nel 1950 da Taylor, e poi in successive edizioni riviste e accresciute). Secondo Pareyson, l'esistenzialismo, abbandonando le ambiguità insite nella dissoluzione dell’hegelismo, doveva "decidersi a giungere o a un franco e dichiarato umanismo materialistico o a uno spiritualismo intimamente rinnovato", cioè "decidersi per o contro il cristianesimo, in un'alternativa senza mezzi termini".

Destefanis sottolinea che negli ultimi anni Bobbio torna su temi esistenzialistici e discute del problema del male e del “mistero” dell'uomo nell'universo, giungendo a un pensiero tragico affine a quello di Pareyson. In realtà, quando morì nel 1991 Bobbio ricordò affettuosamente la loro amicizia e disse di avere sempre cercato di capire il suo pensiero, dal quale però si sentiva “distante anni luce" (“Avanti!", 10 settembre 1991). Nel 1999 dichiarava a un interlocutore cattolico: "Dell'ineffabile non si può dire niente, e nulla esso dice a noi", e ribadiva: “La visione profana è una visione della vita in cui non c'è posto per il sacro” (in Raffaele Luise, Dubbio e mistero. A colloquio con Norberto Bobbio,  prefazione di Giulio Giorello, Cittadella, 2004). Pareyson era polemico contro "la completa smetafisicizzazione della filosofia" da parte dell'empirismo neoilluministico e "la completa prassificazione del pensiero" del marxismo panpoliticistico. Non credo si possa parlare di una “scuola di Torino” in senso unitario. Mi sembra più rispondente alla realtà il titolo di una raccolta di saggi di qualche anno fa a cura di Gianluca Cuozzo e Giuseppe Riconda: Le due Torino. Primato della religione o primato della politica? (Trauben, 2008).  Il saggio di Destefanis ha comunque il pregio di mettere a fuoco le categorie di una filosofia della libertà declinata in modo diverso in tre autori che ebbero nella Resistenza un’esperienza decisiva. Giustamente ricorda in proposito un suggerimento di Claudio Pavone: “L'«unità della Resistenza», attorno alla quale è corsa tanta retorica, potrebbe forse essere recuperata come comune, ma differenziata, aspirazione a dar vita a un uomo libero e moralmente non in contraddizione con se stesso, quali che fossero i contenuti anche molto diversi , con i quali l'immagine del futuro veniva riempita”

Il loro impegno deriva da una scelta, prima che politica,  etica, perché – come scrisse più tardi Chiodi – “La campana suona per tutti e suona per tutto l'uomo. Non si può restare uomini ed assistere indifferenti alla disumanizzazione di un altro uomo o di una parte di noi stessi”. Dinnanzi a un gruppo di trucidati, Chiodi ripete a se stesso in Banditi: “Non potevo vivere accettando qualcosa di simile. Non sarei più stato degno di vivere”.

Nella ricorrenza del cinquantenario della morte (22 settembre 1970), è da rileggere il  diario partigiano di Chiodi, che si rivolge ai “ai giovani, non già per far rivivere nel loro animo gli odi del passato, ma affinché, guardando consapevolmente ad esso, vengano in chiaro senza illusioni del futuro che li attende se per qualunque ragione permetteranno che alcuni valori – come la libertà nei rapporti politici, la giustizia nei rapporti economici e la tolleranza in tutti i rapporti – siano ancora una volta manomessi subdolamente o violentemente da chicchessia”.

 

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