Un'altra Italia è possibile!

di Francesco Pallante


Un’altra Italia di Pietro Polito è un libro di sorprendente – e spaventosa – attualità.

Benché incentrato sulla vita e sul pensiero di donne e uomini a noi lontani nel tempo – le e i «maggiori» dell’autore: figure di esemplare impegno morale, intellettuale e politico, che costellano il suo appassionato percorso di ricerca –, il libro non ci parla (solo) del passato, ma (anche) del presente. Del nostro presente. L’esempio di donne e uomini che riescono a idealmente immaginare, e a concretamente progettare, un futuro desiderabile in un tempo in cui le loro esistenze sono sconvolte e minacciate, a volte tragicamente spezzate, dalla violenza del fascismo e della guerra – una violenza che è italiana, europea e mondiale – ci è di stimolo e conforto nel momento in cui, con inaudita concretezza, torna a palesarsi innanzi ai nostri occhi lo spettro della devastazione bellica, in una forma capace di spingersi all’olocausto nucleare.

Proprio questa capacità di attraversare il tempo e di saper rispondere con le parole di ieri alle domande di oggi dimostra la classicità degli autori studiati e presi a modello nel libro. Parliamo di Piero Gobetti, Antonio Gramsci, Luigi Einaudi, Aldo Capitini, Franco Antonicelli, Paolo Gobetti, Alberto Cabella, Alessandro Galante Garrone, Ernesto Rossi, Benedetto Croce, Silvio Trentin, Leone Ginzburg, Guido Dorso, Pier Paolo Pasolini, Ada Gobetti, Camilla Ravera, Bianca Guidetti Serra, Carla Gobetti, Liliana Segre, Umberto Campagnolo, Renato Treves, Norberto Bobbio: un insieme di figure straordinarie, ciascuna delle quali brilla per sé, grazie alle sue azioni e al suo pensiero, e tutte insieme reciprocamente s’illuminano, a comporre un “pantheon” che Polito ci propone come altissimo riferimento ideale.

Davvero straordinaria è la circostanza che tutti coloro che animano il libro risultino, direttamente o indirettamente, per consonanza o dissonanza, solo intellettualmente o anche personalmente, legati a Piero Gobetti: quel «prodigioso giovinetto» – come lo definì Norberto Bobbio – che, in maniera tanto rapida quanto intensa, ha attraversato il primo Novecento italiano, lasciando dietro di sé una traccia indelebile.

Gobetti fu tra i primi a inquadrare correttamente il fascismo come un totalitarismo violento e illiberale, dimostrandosi capace, pur da studioso ancora in formazione, di una lucidità d’analisi superiore a quella di tanti suoi maestri, che da Mussolini si fecero inizialmente ammaliare. E anche la famosa qualificazione gobettiana del fascismo come «autobiografia» della nazione italiana risulta assai più pertinente del tentativo, posto in essere da Croce alla fine della guerra, di trattare il ventennio alla stregua di una parentesi, chiusa la quale avrebbe potuto riprendere corso la monarchia liberale. «La questione non [è] di difendere, ma di creare», scriveva Gobetti riguardo allo Statuto albertino: esattamente quello che gli antifascisti fecero a guerra finita.

A unire Gobetti alle donne e agli uomini protagonisti di Un’altra Italia sono, nella ricostruzione di Polito, tre elementi fondamentali. Primo, l’«antifascismo istintivo», «discendente da ragioni soprattutto morali, ideali»: non una scelta – si potrebbe dire –, ma un elemento costitutivo della loro stessa personalità. Secondo, la «passione di libertà» – ciò che si oppone, costruttivamente, al fascismo – «illuminata dalla ragione»: dunque, non un mero desiderio, ma una visione chiamata a basarsi su una capacità di progettazione concreta. Terzo, l’illuminismo pessimista, ancorché mai rassegnato: perché, come scriveva Bobbio, «l’ottimismo comporta pur sempre una certa dose di infatuazione, e l’uomo di ragione non dovrebbe essere infatuato».

Volendo provare ad attualizzare questi tre elementi, si potrebbe dire che l’antifascismo istintivo unito alla passione di libertà è ciò che ci induce, oggi, a sentirci senza alcun dubbio totalmente dalla parte dell’Ucraina aggredita dalla Russia; e aggiungere che la ragione unita all’illuminismo pessimista è ciò che ci induce a schierarci con l’aggredito senza cedere a infatuazioni o dogmatismi e mantenendo ben vivo lo spirito critico: vale a dire, senza lasciarci andare all’esaltazione del bellicismo, alla sottovalutazione del pericolo nazionalista, al compiacimento della retorica escludente dei «nostri valori».

Allora come oggi, dai tre elementi fondamentali emerge, forte, il rifiuto di ogni scoramento per il presente e la volontà di continuare a guardare con fiducia al futuro: proprio nel momento in cui tutto sembra perduto, niente è realmente perduto; perché tutto può essere rimesso in gioco.

Ecco, allora, i fili con cui tessere la trama del mondo che verrà: l’antifascismo, la libertà, la non violenza, la democrazia (partitica e parlamentare), l’universalismo, il rifiuto del dogmatismo, lo spirito critico, il laicismo, l’anticlericalismo, la solidarietà, il lavoro (dignitoso e non alienante), l’antirazzismo, la mitezza, l’illuminismo, l’europeismo. Sono i fili di ieri, di cui continuiamo ad avere bisogno oggi: per l’Italia in cui vorremmo vivere e per l’Europa di cui vorremmo essere parte. Un’Europa costruita sulle idealità e le solidarietà politiche, non sulla spesa militare, come ci viene oscenamente proposto in queste ore. L’Europa del Manifesto di Ventotene è un’Europa di pace: è l’antitesi stessa della guerra. Non possiamo accettare di ridurla a proiettili e monete. Dice bene Papa Francesco: l’aumento delle spese militari è una pazzia di cui dovremmo vergognarci. La prospettiva deve tornare a essere quella del disarmo, non quella di una nuova corsa agli armamenti: le armi portano alla guerra e noi abbiamo bisogno di pace.

Abbiamo bisogno di un Piero Gobetti. Di un pensiero, come il suo, capace di cogliere con acutezza l’essenza dei fenomeni che ci si parano innanzi, di percepirne in anticipo i pericoli, di prospettare, con intransigenza morale e intellettuale, vie d’uscita praticabili. Non è agevole riuscire a farlo e il prezzo da pagare può essere elevatissimo. Ma i frutti durano nel tempo e continuano ad alimentare la lotta per la libertà.

Grazie a Pietro Polito per avercelo, in modo così coinvolgente, ricordato.

 

Centro studi Piero Gobetti

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