Piera Egidi, La riscoperta civile dell’Italia civile

(Recensione a F. Antonicelli, D’improvviso l’Italia. Luoghi e personaggi del cuore, prefazione di Bruno Quaranta, Passigli, Firenze 2022, pubblicata in “Riforma”. Settimanale delle chiese evangeliche, battiste, metodiste, valdesi, a. XXX, n. 43, 11 novembre 2022, p. 4.)

Franco Antonicelli, il letterato, chi si ricorda che fu anche un antifascista? Che – come rammenta Bruno Quaranta, curatore di questa antologia di scritti- fu oratore in quanto presidente del CLN in piazza Vittorio a Torino per la grande manifestazione della Resistenza, il 6 maggio 1945? Che fu tra i promotori e primo presidente dell ‘Istituto piemontese della Resistenza? E che pubblicò nel ’47 “Se questo è un uomo”- rifiutato da altri , fra cui Einaudi- nella casa editrice De Silva da lui fondata? Che fu senatore come indipendente di sinistra, lui che aveva fatto un lungo percorso anche politico iniziato dal partito liberale, che rappresentò nel Cln piemontese? Fu Antonicelli a dettare nel 1966 la lapide in via Fabro 6: “In questa casa visse/PIERO GOBETTI/gli ultimi anni della sua breve vita/ e da essa partì /il 3 febbraio 1926/verso l’esilio e la morte/ ma in patria aveva lasciato / un esempio inesorabile/ d’integra libertà / per l’indomani e per sempre.”. E solo uno scrittore, anche eticamente impegnato nei frangenti difficili della storia - lui, di padre ufficiale e di madre nobile, vissuto negli agi, due lauree, precettore di Gianni Agnelli- poteva commentare il ricordo del martire Leone Ginzburg, ritratto negli anni ‘40 su un muretto a Sordevolo, tutto scarruffato, con un Pavese come sempre in corruccio, e Frassinelli e Antonicelli stesso, l’unico con un signorile borsalino - con questi versi riportati da Quaranta in prefazione: “Un’ombra c’è tra noi/ che giudica severa i nostri stenti.” Stenti economici e sociali non li ebbe dalla sua origine, Antonicelli, ma certamente il suo fu un lungo percorso etico , intellettuale e politico , e un’infinità di impegni sono riportati nella sua biografia (ora che a novembre saranno i 120 anni dalla nascita, era del 1902 come Ada Gobetti). Certo era un letterato, era forse uno snob, ma si è speso con grande generosità: “Ecco la prodezza di Antonicelli: conciliare Gozzano e Gobetti - scrive Quaranta - sfarinare la leggenda delle due città, la politica e l’impolitica, la civile e la vanesia, la granitica e la caramellosa, dimostrare che l’autore dei ‘Colloqui’ è un autore della Torino moderna, come Gramsci, come l’arcangelo della ‘Rivoluzione Liberale’ ”. In questa raccolta di scritti - curata da un gobettiano di un’altra generazione, Bruno Quaranta, recentemente autore de “Le nevi di Gobetti” - c’è Gozzano e la sua casa di Agliè, ma ci sono anche continui altri rimandi letterari, da Petrarca a Dante , a Carducci, a Pavese; ci sono i minori, gli sconosciuti, i cantori di stornelli e di osterie. C’è pienamente l’Antonicelli letterato, che fa eco ai suoi autori empaticamente, persino nella scrittura: sono i “luoghi e personaggi del cuore”, come ricorda il sottotitolo ,a cominciare dalla città natale Voghera, e dalle ombre, mura e giardini degli antenati: “ Questa è la stagione da girare i propri paesi – scrive - è il momento in cui si prova che i propri paesi sono i più belli. Perchè il sole di settembre è asciutto, l’aria lavata (...) C’entra anche il desiderio della tua casa ,del ritorno; sono anche gli odori e i suoni tranquilli e domestici che si levano dalla campagna. Allora non cerchi più in là della tua terra, ami i tuoi orizzonti; e ciò che è dentro di te ti assomiglia di più a ciò che è attorno a te.” Questo girovagare tra paesi e città è la riscoperta dell’Italia - come recita il titolo del libro, che riprende un verso dello stesso scrittore “D’improvviso le Langhe”, in ricordo di quella famosa istantanea con gli amici - oltre la monotonia del già detto e del già visto: “Così le cose le vedi meglio”- osserva lui - nello stupore di quella che Quaranta chiama “l’arte del viaggio”. Ma, in tanto letterario “ andare a zonzo”, le pagine più intense di emozioni sono proprio quella dell’Agropoli dei suoi anni di confino: povera, lacera “dove Cristo non era giunto nemmeno là”, ma piena di vitalità, di feste e quadriglie, di chitarre e di vino, di giovani donne “così belle e seducenti” nella danza, di pescatori e di ragazzi nudi sulle spiagge, dove “il mare si rivoltola con un fievole respiro di vento”.

Centro studi Piero Gobetti

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