Luca Zanotta, Antonicelli e i giovani

[...] il dibattito culturale con i giovani - l’unico fruttuoso - non si fa evitando, come il marchese erede di Don Rodrigo, di mettersi alla loro tavola a colloquio: troppo grave è la situazione, troppo importante è, prima delle altre, un’intesa fra le sinistre, almeno sapere fino a che punto è possibile comprendersi, marciare insieme[1]

In queste righe, provenienti dalla celebre Lettera a Ferruccio Parri, pubblicata su «L’Astrolabio» il 28 febbraio 1973 c’è molto, se non tutto, Franco Antonicelli; la centralità del dialogo, l’esigenza del dibattito culturale, dove “culturale” è un aggettivo che caratterizza l’intera esistenza dello stesso Antonicelli. Il tema della comprensione reciproca, di un’intesa tra le sinistre, tra le generazioni “di sinistra”, che sia funzionale a risolvere i problemi che la giovane Repubblica italiana porta con sé dalla nascita, percepiti, ai tempi della lettera, più che mai gravi. “Marciare insieme”, espressione semplice ma evocativa, dove ad un termine militare, che sa di Resistenza, viene accostato il modo di intendere le relazioni tra tutti coloro che sono realmente democratici. E ancora, la vena del letterato, che si mostra con il riferimento ai tanto amati promessi sposi citando “il marchese erede di Don Rodrigo”; quella letteratura che per lui è – disse ricordandolo Natalino Sapegno – «mai evasione o divertimento, ma sempre, nel fondo, “vita morale, cultura avanzata, vocazione pedagogica”[2]».

Antonicelli nel corso della sua vita ebbe modo di relazionarsi con differenti generazioni di giovani. Tra i primi «gli amici della nuova ondata[3]», tra cui Bobbio, Giua, Galante Garrone, Mila, l’affezionatissimo Ginzburg e tanti altri.

I giovani che fecero la Resistenza, quelli che compiono «una scelta volontaria, non imposta da nessuno, una scelta, per la quale soltanto si diventa uomini, cioè maturi, una scelta difficile il cui prezzo era persino il sacrificio della vita[4]»; essi occupano un posto fondamentale nell’universo valoriale di Antonicelli in quanto protagonisti di uno dei momenti più alti della storia italiana contemporanea.

Quindici anni dopo, nell’Italia ormai compiutamente repubblicana, particolare emozione suscita in lui la generazione che si rende protagonista dei fatti di Genova del giugno 1960 e che egli stesso definisce gioventù che «fu prodigiosa[5]» poichè capace di riaccendere la fiamma resistenziale, opponendosi con la forza al congresso del Movimento Sociale Italiano nel capoluogo ligure.

Infine la generazione dei giovani contestatori che riempirà le piazze del ‘68, alla quale Antonicelli darà il suo sostegno dai banchi del Senato, dove approda eletto nel maggio 1968 nella lista PCI-Psiup, tra le fila della Sinistra indipendente.

Alla fase politica ‘68-’74  risalgono i più significativi confronti con le nuove generazioni; il rapporto con i giovani costituisce una costante nelle interrogazioni parlamentari, in comizi, articoli e orazioni di vario genere. Le agitazioni studentesche sono osservate con curiosa attenzione ed un non trascurabile senso di rinnovata speranza. Il neoeletto senatore accoglie in modo spontaneo il ‘68, libero da preconcetti, pur essendo conscio del fatto che la distanza che intercorre tra la sua leva e quella dei contestatori è molto ampia: all’epoca dei fatti Franco Antonicelli ha sessantasei anni. Nell’ormai celebre discorso Sul significato dell’amnistia agli studenti pronunciato al Senato il 10 ottobre 1968, dice:

Insomma, posso rimanere interdetto, implicato come sono io stesso, al pari di tantissimi altri, in vecchi schemi morali e psicologici, ma non posso rifiutarmi di capire che mi trovo dinanzi non a meri episodi di insubordinazione e di intemperanza giovanile, ma ad una manifestazione ormai cosciente e responsabile di alto livello culturale[6].

Le considerazioni di Antonicelli relative alle manifestazioni subiranno un ridimensionamento, tuttavia il modo in cui egli ammette l’innovazione alla base di quel pensiero appare semplicemente istintivo.

Antonicelli riconosce ai giovani il merito di aver portato all’attenzione dell’opinione pubblica «[…] il rapporto strettissimo da riconoscere fra scuole e società[7]», ed aver evidenziato una serie di problematiche che riguardano la società nel suo complesso, non esclusivamente la dimensione scolastica, la quale, della crisi in atto, non  rappresenta che una manifestazione.

[…] per averci tormentato nelle coscienze e nei pensieri e averci costretti a soffermarci davanti a una realtà così crudamente rivelata, dobbiamo mostrare non sufficienza, o sdegno, ma gratitudine a questi giovani [8]

La scuola riflette l’immagine di una società in crisi «non di autorità ma di autentica democrazia[9]» secondo Antonicelli. Una società che rifiuta qualsiasi modifica e che deve essere rinnovata, proprio a partire dalla scuola, scrive nell’articolo Le Ragioni degli studenti, apparso con il titolo La sfida alla costituzione ne «L’Unità» del 6 marzo 1969.

Egli reputa l’interesse partecipativo che gli studenti dimostrano nei confronti dei problemi della scuola non solamente lodevole bensì necessario e logico: sono i giovani a dover plasmare il loro futuro e questo atto prende il via essenzialmente negli istituti scolastici.

Una nuova società si va formando, articolando, e sono i giovani a gettarne le basi ideali, sono gli studenti, a cominciare queste costruzioni: da dove? Da quelle scuole, naturalmente, che essi vogliono rendere davvero utili alla loro vita[10]

Antonicelli comprende i motivi che animano i giovani contestatori, i quali, pur lontani da lui nel dato anagrafico, manifestano esigenze in cui egli si riconosce. Quando si pronuncia in Senato per trattare il tema dell’amnistia agli studenti, il 10 ottobre 1968, parla di «atto di fiducia nei giovani[11]». L’amnistia è un’occasione, il «preambolo di una saggia, coraggiosa, riforma scolastica e non solo scolastica[12]».

Gli risulta moralmente doverso adoperarsi in difesa dei giovani che sciamano nelle piazze e prendono a frequentare le prigioni. Con naturalezza si mette a disposizione della parte che sente di dover sostenere eseguendo tale compito principalmente attraverso le parole, tramite interrogazioni parlamentari. In lui è la spinta morale a indirizzare l’agire, a coordinare l’opera in difesa dei giovani che giudica alleati. Una difesa dei movimenti di piazza dove piazza è identificabile come luogo adatto a diventare «punto della dialettica democratica[13]».

Il nemico per eccellenza di Antonicelli, quello contro cui scagliare vecchie e nuove forze democratiche rimane il fascismo, «un nemico che ha la forza di presentarsi unito ed uno solo, sempre lo stesso, per tutti noi[14]». Nelle operazioni poliziesche, nella censura, nelle omissioni, nelle ambiguità dello stato egli ritrova alcuni metodi e strumenti di quel regime avversato tanti anni prima ed un più generale e preoccupante: «tralignamento dello stato di diritto[15]». Nell’interpellanza del 1° agosto 1972, periodo in cui le denunce si abbattono sui militanti di Potere Operaio e Lotta Continua, Antonicelli condanna quelle che giudica essere: «[...] per i presupposti ideologici di carattere repressivo, disposizioni di legge e pratiche di un tempo nefasto[16]», che vede espresse nell’accusa ai militanti dei reati di Costituzione e promozione di associazioni sovversive (art. 270), propaganda e apologia sovversiva o antinazionale (art. 272) e associazione per delinquere (art. 416)[17].

Afferma di condividere con i giovani il giudizio secondo cui non è più possibile stazionare esclusivamente sul concetto di “rigurgito fascista” bensì è necessario avere la sensibilità di riconoscere le evoluzioni del fascismo nella contemporaneità ed in ragione di ciò ideare un approccio differente al tema dell’antifascismo stesso: «I giovani hanno avuto l’intelligenza politica di riconoscere che il fascismo di oggi è un’altra cosa, ha altre forme, altri obbiettivi, altre idee, altro peso[18]».

Antonicelli si spende per propagare l’idea che l’unità sia condizione necessaria per contrastare un progressivo allontanamento dai princìpi democratici e, in tal senso, la sua apertura a sinistra è totale, ricordando che egli definisce “sinistra”«[...] tutto ciò che non è a destra» e che – prosegue – «con la sinistra, che in quanto tale significa antifascismo, è problema di confronti e discussioni anche dure, con l’altra non esiste problema[19]». Nel proprio campo ci si incontra e ci si scontra, si costruiscono faticosamente discorsi mentre con l’altro schieramento, con il fascismo e con ciò che ne deriva, si rifiuta qualsiasi dialogo rimanendo fedeli alla lezione di Piero Gobetti[20]. Nell’articolo Mantengano l’unità del fronte di lotta, scritto e pubblicato in «l’Unità» del 18 gennaio 1968, Antonicelli si augura che gli studenti trovino la coesione necessaria per non rendere vani i loro sforzi; per dare un seguito a quella spontaneità è necessario conservare la forza d’impatto tipica di un fronte unito e avviare un lavoro di crescita e di sviluppo delle teorie e dei metodi, evitando le tentazioni e i pericoli della frammentazione:

Perciò facciano bene i loro conti, migliorino, se è il caso, i loro metodi e i loro strumenti di lotta[…] mantengano fino al possibile l’unità del fronte di lotta, non cerchino una vittoria di parte, e magari di fazione, mandino avanti con i mezzi a loro consentiti, elaborando queste forme nuove, democratiche[21].

La tendenza ad individuare nell’unità uno dei fattori essenziali per aspirare al raggiungimento di un risultato concreto è eredità della resistenza dove la ricerca dell’unione, pur difficile, di forze differenti, ciascuna con la propria identità, si traduce in una forza organizzata in grado di contrapporsi efficacemente al nazifascismo in termini etici e pratici. Si tratta di una tematica sviluppata e perseguita con coerente tenacia nel periodo della senatura; egli cerca costantemente di unire «avendo sempre come riferimento l’idea di una sinistra plurale, ampia, aperta[22]» – ha scritto Pietro Polito –  e accusa chi, nel suo schieramento, tenta invece di disunire e di frammentare, facendo “il gioco degli altri”, non percependo cioè quell’esigenza di una risposta compatta ai mali dello stato.

L’unità per Antonicelli non nasce e non si mantiene spontaneamente, bensì è costruita a partire dal dialogo, dal confronto: «Il problema è tutto lì: confrontare idee e linee d’azione senza disprezzarsi e calunniarsi a vicenda. È inutile parlare di pluralismo se non lo si accetta anche a sinistra[23]». Per dare validità alla propria teoria riguardo alla necessità di costruire, anche nella contemporaneità, un fronte unito, che comprenda le masse di giovani in rivolta, riporta il significativo esempio di Genova:

[...] nel 60 i giovani (giovanissimi anzi) iniziarono o diedero fiamma alla battaglia antifascista, ma erano parte della città, parte della nazione che rifiutava l’avallo governativo ad una manifestazione di fascisti […] fecero una magnifica battaglia e la vinsero perché non rimasero isolati [24]

I ragazzi di Genova hanno successo perché non sono soli, perchè hanno al loro fianco gli operai, il sostegno della popolazione. Per Antonicelli la vicenda genovese dell’estate 1960 rappresenta un momento altissimo della storia recente, una lezione (“l’undicesima lezione di Franco Antonicelli”) in grado di suggerire che gli ideali della Resistenza trovano il loro posto nel presente ma anche che esiste della gioventù in grado di farsene efficacemente portatrice ed interprete. Alleanza tra le generazioni antifasciste quindi, ricordando che «la lotta contro il fascismo non è un campo riservato a quelli che l’hanno combattuta un tempo la Resistenza armata. É un campo aperto a tutti, a quanti più possibile[25]».

Tuttavia l’unità non va richiesta solo all’esterno, va ricercata e stimolata tra i propri compagni; Antonicelli quindi chiama a raccolta la sua parte, quel “popolo di partigiani” a cui si sente indissolubilmente legato, popolo che per contare ancora deve presentarsi: «non come veterano di vecchie battaglie, ma come soldato di riserva per le nuove civili battaglie dalle quali non si sente separato[26]».

La Resistenza può e deve avere ancora un ruolo fondamentale nella società civile – dichiara in un Convegno per l’ANPI del 1972 – ma ciò è possibile solo in relazione agli sforzi che essa stessa è disposta a compiere per cercare di contemporaneizzare quelle pulsioni che la animarono oltre vent’anni prima.

Ma se la vecchia Resistenza vuole trovare ancora un suo posto, rivendicare a sé i diritti che maturano dalla forza organizzativa, dall'autorità, dal prestigio del suo passato, ebbene, deve mettere queste cose al servizio di una nuova Resistenza, diventare essa stessa nuova Resistenza. Per questo deve: a) inserirsi nelle lotte vive, attuali del Paese. b) non presumere di essere sola depositaria dei valori che contano[27]

Conclusioni

Franco Antonicelli si relaziona al presente legando insieme i fili logici del suo passato a quelli degli avvenimenti contemporanei. Individua dei nessi tra il suo ideale di libertà («La lotta per la libertà è sempre una lotta per l’affrancamento da qualche forma di oppressione[28]») e le richieste di giustizia dei giovani contestatori; si sforza di evidenziare le connessioni tra le pulsioni che animarono la Resistenza e le esigenze sociali a cui le giovani masse si ispirano e si sposta –  citando nuovamente Norberto Bobbio – «di teatro in teatro, di piazza in piazza per tutto il paese a ricordare la resistenza passata e a incitare alla resistenza presente[29]». Il dovere degli attori sociali coinvolti in quel particolare momento, i padri e i figli del ’68, rimane quello di incontrarsi, di interrogarsi, insomma di comprendersi[30].

Per quanto riguarda i modi in cui Antonicelli si relaziona con la gioventù sessantottina in particolare e con la gioventù in generale, questi si innestano chiaramente su aspetti del suo carattere, della sua personalità. Egli intravede nelle masse studentesche un possibile alleato nella lotta contro la disgregazione dello Stato ed anzi ad esse riconosce il merito di aver portato alla luce una serie di problematiche che individuano nel corretto funzionamento delle istituzioni sociali uno dei punti cardine necessari al mantenimento e allo sviluppo di ogni società democratica. I rapporti intergenerazionali se coltivati, pur tra naturali difficoltà, possono essere terreno fertile in cui far germogliare l’iniziativa comune, iniziativa nella quale i giovani al contempo possano e debbano essere protagonisti. Non si tratta di annullare le distanze provocate dall’età bensì di sfruttare il potenziale di ciascuna generazione ricordando che l’origine dell’Italia Repubblicana, democratica ha le sue radici in quella Resistenza che definisce: «una somma di ideali risoluti e di propositi e di principǐ e di mete, la quale è ancora nel suo vivo corso[31]».

Le differenze e le diffidenze che per natura esistono tra le diverse generazioni non sono integralmente colmabili, di questo Antonicelli è consapevole. Accetta le critiche che i giovani rivolgono a coloro che, ormai adulti, avrebbero dovuto eliminare alla radice il problema di quel fascismo che invece in varia forma continua ad esistere

Certamente i giovani hanno ragione di esigere di più, e spesso sanno anche fare di più. Certamente quando essi ci dicono: a che cosa ha servito la vostra Resistenza, quando nel mondo c’è ancora tanto fascismo, quando le vere radici del fascismo non sono state troncate? Essi toccano un punto nevralgico, che duole [...]

Tuttavia, prosegue:

[...] una guerra di liberazione non risolve da sé tutti problemi politici, tutti i nodi di civiltà; pone, come ha posto, le condizioni per farlo[32].

Nell’ultima parte della sua vita l’attenzione torna gobettianamente a focalizzarsi sul ruolo della classe operaia nei mutamenti sociali, soprattutto in conseguenza dell’autunno caldo, nonostante ciò, le agitazioni e le ansie di rinnovamento che le caratterizzano continuano a rappresentare per lui un luminoso esempio di partecipazione democratica.

 

Bibliografia

  • Franco Antonicelli. La pratica della libertà: documenti, discorsi, scritti politici 1929-1974, con un ritratto critico di Corrado Stajano, Giulio Einaudi Editore, Torino 1976.
  • Uno storico del presente. Franco Antonicelli, a cura di Marco Revelli e Andrea Gobetti, presentazione di Giovanni De Luna, Tipografia Toso, Torino, 1975.
  • Centro studi Piero Gobetti – Torino, via Fabro 6, Scritti di Bobbio, Fubini, Galante Garrone, Quazza, Sapegno su Antonicelli, Tipografia Toso, Torino, 1975.
  • In sintonia con il presente. Franco Antonicelli tra politica e cultura, a cura di Diego Guzzi, Edizioni SEB27, Torino 2019.
 
 

Sitografia

 

[1]Franco Antonicelli, Si riempiono le prigioni, in Uno storico del presente: Franco Antonicelli, cit., p. 42.
[2]Natalino Sapegno, Sul filo d’una antica amicizia,in  Scritti di Bobbio, Fubini, Galante Garrone, Quazza, Sapegno su Antonicelli, Tipografia Toso, Torino 1975.
[3]Massimo Mila. Il mio amico, in “La Stampa”, n. 257, 6 novembre 1975, p. 3.
[4]Franco Antonicelli, Per un’Italia diversa in La pratica della libertà: documenti, discorsi, scritti politici 1929-1974, cit., pp. 187-188.
[5]Corrado Stajano, Ritratto critico, in  La pratica della libertà: documenti, discorsi, scritti politici 1929-1974, con un ritratto critico di Corrado Stajano, Giulio Einaudi Editore, Torino 1976, p. LXXI.
[6]Franco Antonicelli, Sul significato dell’amnistia agli studenti, in Uno storico del presente: Franco Antonicelli, cit., p. 29.
[7]Ivi, p. 28.
[8]Ivi, p. 29.
[9]Ivi, p.28.
[10]Franco Antonicelli, Sul significato dell’amnistia agli studenti, in Uno storico del presente: Franco Antonicelli, cit., p. 29.
[11]Ivi, p. 31.
[12]Ibidem.
[13]Ivi, p. 30.
[14]Franco Antonicelli, Scelta di civiltà, in Uno storico del presente: Franco Antonicelli, cit., p.53.
[15]Franco Antonicelli, Fascistizzazione dello Stato, in Uno storico del presente: Franco Antonicelli, cit., p. 46.
[16]Ibidem.
[17]Ivi, p. 45.
[18]Franco Antonicelli, Gli agenti del disordine, in La pratica della libertà: documenti, discorsi, scritti politici 1929-1974, cit. p. 165.
[19]Centro Studi Piero Gobetti, Fondo Franco Antonicelli, Lettera dattiloscritta indirizzata a Enrico Berlinguer del 1° novembre 1971, cartella ex 15b - Partito comunista italiano, 1945 -1973.
[20]Franco Antonicelli, Quel che Gobetti c’insegna, in La pratica della libertà: documenti, discorsi, scritti politici 1929-1974, cit., p. 41.
[21]Franco Antonicelli, Mantengano l’unità del fronte di lotta, in Uno storico del presente: Franco Antonicelli, cit., p. 26.
[22]Pietro Polito, Franco Antonicelli e la politica, in In sintonia con il presente. Franco Antonicelli tra politica e cultura, a cura di Diego Guzzi, Edizioni SEB27, Torino 2019, p. 98.
[23]Franco Antonicelli, Si riempiono le prigioni, in Uno storico del presente: Franco Antonicelli, cit., p.41.
[24]Ivi p. 40.
[25]Franco Antonicelli, «Che fare»: proposte per un antifascismo militante, in Uno storico del presente: Franco Antonicelli, cit., pp. 71.
[26]Franco Antonicelli, Il popolo della Resistenza, in La pratica della libertà: documenti, discorsi, scritti politici 1929-1974, cit., p. 48.
[27]Franco Antonicelli, «Che fare»: proposte per un antifascismo militante, in Uno storico del presente: Franco Antonicelli, cit., pp. 71-72.
[28]Norberto Bobbio, Dopo Gobetti, in  Scritti di Bobbio, Fubini, Galante Garrone, Quazza, Sapegno su Antonicelli, Tipografia Toso, Torino 1975, cit., p. 17.
[29]Ivi, p. 15.
[30]Franco Antonicelli, Si riempiono le prigioni, in Uno storico del presente: Franco Antonicelli.
[31]Franco Antonicelli, Per un’Italia diversa in La pratica della libertà: documenti, discorsi, scritti politici 1929-1974, cit., pp. 187-188.
[32]Franco Antonicelli, Per un’Italia diversa in La pratica della libertà: documenti, discorsi, scritti politici 1929-1974, cit., p. 184.

Centro studi Piero Gobetti

Via Antonio Fabro, 6
10122 Torino
c.f 80085610014
 
Tel. +39 011 531429
Mail. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Pec. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Iscriviti alla Newsletter

Inserisci la tua mail e sarai sempre
aggiornato sulle nostre attività!