Sindemia

di Chiara Faggiolani


“La pandemia non ci ha reso né migliori né peggiori”. Anche io come Pietro Polito penso questo. Purtroppo non ci ha reso neanche consapevoli, coscienti, informati. Siamo ancora immobili nella visione e nella capacità di interpretazione. Desideriamo un ritorno alla normalità, la vita di prima, che invece dovrebbe farci paura, affogata com’era nella totale negligenza verso le generazioni future. Non abbiamo ancora capito fino in fondo che con i suoi effetti catastrofici sulla salute, sull’economia, sull’istruzione, sulle  relazioni e su ogni aspetto della vita sociale, il Covid-19 è una vera e propria “sindemia”, ovvero una miscela esplosiva di patologie sanitarie, ma anche sociali, economiche, psicologiche, dei modelli di vita, di fruizione della cultura e delle relazioni umane (Merril Singer). E proprio riflettendo sul senso dell’espressione “sindemia” possiamo comprendere il perché la normalità tanto desiderata è qualcosa a cui guardare con sospetto e non certo un obiettivo cui tendere. La diffusione del Covid-19, come  tanti studi dimostrano, è profondamente legata a variabili socio-economiche, come l’indice di povertà, la densità demografica, il livello di istruzione, e a variabili ambientali, come il riscaldamento globale, i cambiamenti climatici. La verità è che non ci ammaliamo tutti nello stesso modo. Il Covid-19 ha prodotto una esplosione delle diseguaglianze che non sono imputabili a uno spillover – il “salto di specie” descritto da David Quammen nel suo bel libro Spillover. L'evoluzione delle pandemie pubblicato in Italia da Adelphi nel 2014 – ma soltanto a noi stessi. C’erano già nella normalità, quella di prima, alla quale tanto ambiamo e la mia impressione è che non lo abbiamo capito fino in fondo. La cultura in questo senso forse è l’unico antidoto.

Centro studi Piero Gobetti

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