Il problema non è se ma come finirà

di Dario Delpero


L’articolo di Pietro Polito, Vivere nella pandemia, non è un messaggio di speranza né tantomeno un tentativo blando di lasciarsi alle spalle il virus per volgersi inerzialmente al futuro. Semmai, la disillusione è la chiave di lettura adottata dall’autore, che egli, sin dalle prime righe, manifesta, avvalendosi di una vignetta di Altan, domandandosi: «Finirà?». Se la storia è sempre storia del passato, e mai del futuro, allora non ci è dato rispondere al quesito sopra menzionato. Tuttavia, ciò non è una buona ragione per sospendere la riflessione critica e aderire in maniera dogmatica e cieca a tutte quelle posizioni di politici, scienziati ed economisti, propinate dai mass media indiscriminatamente dal marzo del 2020. Occorre in primo luogo ripensare il metodo con il quale è stata impostata la gestione della pandemia. Infatti, è evidente che le armi della politica volte ad allentare gli effetti drammatici del Covid-19 si sono rivelate più che mai incerte e confuse, alimentando quel senso di apprensione e instabilità già di per sé forte nella cittadinanza. Sarebbe miope e sbagliato considerare la pandemia come una “parentesi” e non accorgersi invece che essa è una cesura storica fondamentale, inevitabile. Sperare in un ritorno alla fatidica “normalità” costituisce oggi un torto all’intelligenza di ciascuno di noi. Se in un primo momento aleggiava nel sentire comune la considerazione che il virus avrebbe aperto un periodo di riscatto personale dal quale uscire migliori, in realtà un anno di pandemia ha semplicemente disvelato, rendendole più nitide, tutte le contraddizioni di un sistema non già sano, e dunque intaccato nelle sue fondamenta genuine, bensì imperfetto e diseguale. In questo senso, la metafora più che riuscita della pandemia come “autobiografia della specie” risulta illuminante. Il problema non è se ma come finirà: se finisce ripristinando la “banalità del prima”, sarà veramente finita?

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