Un'altra Italia, un altro mondo

di Giorgio Fontana


La rosa di figure eccezionali del nostro Novecento offertaci da Polito è unita da un'ispirazione di fondo, potremmo dire un'aria di famiglia, che Galante Garrone definisce splendidamente "una passione di libertà illuminata dalla ragione". Passione rara, e non a caso il titolo del volume è Un'altra Italia: perché di questi intellettuali e di queste intellettuali era ed è chiaramente "un'altra". Rispetto a quale, però?

Certo innanzitutto a quella populista, razzista, incattivita, gonfia di rancore — l'Italia che spesso appare dominante nella cronaca di ogni giorno come nel discorso delle élite; ma — occorre sottolinearlo, per non idealizzare i tempi che furono — anche all'Italia fascista che combattevano Gobetti e a Gramsci; o all'Italia non depurata delle scorie del fascismo che condannava Pasolini. L'Italia insomma afflitta da certi mali storici che si ripetono seppur in forme nuove.

Ecco dunque il valore storico e insieme la rovente attualità di questi ventidue nomi, animati da un rigore etico e da un senso profondissimo della dignità umana che traspaiono anche nel rigore linguistico. Tolto Pasolini — effettivamente una figura sui generis rispetto alla tonalità comune del testo — e certi scatti fumantini di Gobetti, se si leggono ad esempio Capitini, o Bianca Guidetti Serra, od ovviamente Bobbio, si coglie subito una profonda ponderazione del testo, un'allergia istintiva alla retorica. Oggi va assai di moda, anche fra intellettuali, lanciarsi in espressioni fulminanti e icastiche: la lezione di "quest'altra Italia" sta allora anche nel recuperare uno stile di ragionamento più profondo, meno istintuale, ma che non per questo si avviti attorno a dettagli inutili o dia spazio più all'ego di chi parla rispetto ai temi concreti (per usare un aggettivo caro a Gobetti) della discussione. Il dibattito sulla guerra in Ucraina è stato spesso, da tal punto di vista, un triste esempio.

Un'altra Italia è ancora possibile? In realtà la domanda più radicale e urgente è, ormai: un altro mondo è possibile? La nazione ideale, la repubblica delle idee tracciata in questo libro non può farci dimenticare di essere un piccolo frammento in un globo interconnesso che muta a velocità turbinosa, e con un tasso di violenza inimmaginabile — basti di nuovo pensare al conflitto ucraino o a tutti gli altri in corso, sia sul campo (Yemen, Afghanistan, Siria…) sia sul corpo e la psiche dei singoli lavoratori sfruttati, dei migranti, degli ultimi.

E dunque. Se i maestri e le maestre di questa "altra Italia" ci consegnano spunti ancora cruciali per un altro mondo — la libertà come mezzo e come fine; la fiducia in una ragione critica e dubitante; l'antifascismo intransigente; la laicità; il ripudio della violenza; la centralità della giustizia sociale — occorre anche che tali spunti vadano aggiornati, ripensati: penso solo al tema ecologista, oggi di enorme gravità e importanza.

E più ancora le loro parole andrebbero calate — ripeto l'aggettivo gobettiano — nella realtà concreta di ogni giorno: come fecero queste persone, impegnandosi nell'immediato, e spesso a costo di grandi sofferenze o della vita stessa. Vorrei invitare a prendere sul serio l'idea della Rivoluzione liberale di formare collaboratori e non semplici lettori, operando ciascuno come può — con il volontariato, l'insegnamento, la politica di base, l'azione diretta, insomma con tutti i mezzi libertari a disposizione — per uscire dalla propria bolla e parlare con franchezza al prossimo inteso nel senso più sorgivo, direi laicamente evangelico, del termine: il cugino di simpatie antidemocratiche; la signora con cui si attacca bottone al bar; l'alunna svogliata che tutti dimenticano e che dovrebbe essere, ma spesso non è, una nostra priorità. Nicola Chiaromonte, che aggiungerei volentieri a questa sfilza di nomi insieme ad esempio ad Andrea Caffi, Camillo Berneri e Adelaide Aglietta, scriveva nel Tempo della malafede che "Il problema delle masse è per l'appunto il problema dell'impotenza, reale o apparente, dell'intellettuale e dell'educatore nella società di massa." Ed è ancora il nostro problema.

Centro studi Piero Gobetti

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