Diritti fondamentali, vulnerabilità e giustizia sociale

di Antonio La Porta


La pandemia ci ha costretto a fare i conti con la dimensione della vulnerabilità, al contempo personale e comunitaria. Durante l’incontro che il Centro ha dedicato al Diritto alla vecchiaia ho sottolineato come quello della vulnerabilità non sia un disvalore ma un valore ontologico dell’essere umano. Riconoscere la propria vulnerabilità comporta l’accettazione dell’alterità, il non poter ignorare la vulnerabilità dell’altro. Non voler sopravvivere a discapito dell’altro, ma il (con)vivere, il coesistere, è l’essenza della vita umana, dello stare in società. Come ha scritto Roberto Esposito, ricordando Simone Weil, quando “la sopravvivenza, in una condizione disperata, diventa l'unico obiettivo perseguibile” allora “la vita si raggomitola su se stessa, perdendo ogni attenzione nei confronti dell'altro”. Guardare invece al volto dell’altro significa anche salvaguardare i propri diritti fondamentali. Quella che oggi stiamo vivendo è una sorta di sospensione dei diritti di libertà, più o meno tollerabile in momenti temporanei di crisi. Ciò che non è tollerabile è la mancanza di visione e programmazione sulle categorie vulnerabili: bambini, adolescenti, giovani, donne, anziani, diversamente abili, ecc. Guardare ai diritti dei vulnerabili, programmare politiche a loro favore significa conciliare stato sociale e stato di diritto. Questa è una sfida che non può essere lasciata alla semplice demagogia, a chi maschera come generosa solidarietà, come lotta per i diritti di libertà, le richieste di riaperture del tutto legittime, ma che per alcuni sono legate soprattutto al primato dell’economia. Il concetto di vulnerabilità dovrebbe offrire uno spunto di riflessione alla classe politica di questo paese: anche se è vero che in pandemia ci siamo ritrovati tutti più fragili, non è altrettanto certo che siamo tutti vulnerabili in egual misura. A chi dice che parlare in tempo di pandemia di giustizia e di diritti fondamentali come i diritti civili e sociali relativi alla cittadinanza, alla questione di genere, ai diritti di bambini, giovani e anziani è da radical chic, io rispondo –richiamando Bobbio– che preferisco “la severa giustizia alla generosa solidarietà”. Solo guardando a coloro che sono veramente vulnerabili e che lo saranno anche dopo la pandemia potremmo immaginare un futuro più solidale e augurarci di vivere finalmente in una giusta società.

Centro studi Piero Gobetti

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