Drops

Franco era un lettore accanito, amava la letteratura e la poesia, scriveva anche qualcosa che però non esponeva volentieri ad altri, molto spesso si chiedeva perché non aveva fatto lettere al posto di scienze politiche, aveva anche il dono dell’insegnamento e leggeva benissimo ad alta voce.

Marcella Saggese

Silvana si era svegliata presto, aveva sentito dei rumori, qualche vocìo. I muri spessi e le finestre doppie non bastavano a isolare completamente dai rumori. In quei giorni, cosa davvero insolita, si sentivano anche gli uccellini cantare e lo scroscio della fontanella della piazza. A Torino quelle fontane si chiamano toret, piccolo toro, sono di ghisa, verdi, con la testa del toro che butta l’acqua dalla bocca e alla base c’è una griglia di scolo con uno spazio per far bere gli animali. Dopo la Mole Antonelliana sono una delle cose più caratteristiche della città.
Era arrivata da poco ad abitare allo stesso piano del condominio a fianco una coppia con due figli, che forse non vivevano neanche lì. Per qualche anno quell’appartamento era rimasto vuoto e ora tra la musica e le voci la vita era entrata in quella casa. Non si conoscevano perché di caseggiati diversi, ma i muri lasciavano intuire degli stili di vita. Silvana aveva visto lui sul balcone bagnare le piante e l’aveva incrociato con un grosso strumento, chiuso nella custodia, mentre lo spostava per infilarlo in macchina, con facilità, nonostante le dimensioni. Probabilmente un contrabbasso.
Lei, la moglie, aveva una voce con alcune punte acute, una voce da bambina, faceva un sacco di bucati e, sul balcone, quello battuto dal sole, in quei giorni, scriveva spesso su un quaderno, dopo aver curato le viole, i fiori che d’inverno portano colore alla stagione con meno luce.
Silvana era stanca, svogliata e si svegliava presto, prima della sveglia. La tensione accumulata durante il giorno si smorzava un po’ nelle prime ore del sonno, ma poi ritornava come un’eco di brutti ricordi.
Poteva lavorare da casa per la sua ditta, smart working, anche se lei non lo sentiva tanto smart, anzi molto pesante. Non era così lontana dalla pensione ma neanche vicina, quella via di mezzo che fa un po' demotivare, specie nei momenti difficili. Erano i giorni del coronavirus e tutta la città era blindata, anche se la gente faceva fatica a rispettare le regole. La paura di stare da soli o di sentirsi oppressi e senza sbocchi nello stare a casa faceva fare le cose più strane. La maggior parte trovava la scusa di dover comperare qualcosa e usciva ogni dieci minuti per spese non organizzate. Silvana, invece, stava bene in casa, si sentiva protetta, sicura, però doveva assistere sua madre di novantadue anni, portarle la spesa, comperare le medicine e fare tutte le code per queste incombenze. La signora Angela era una donna molto lucida e autonoma, amava ancora discussioni su vari temi, era ferratissima sui rebus, superava in velocità ed esperienza anche la figlia, era allegra, di compagnia, e il suo viso segnato, ma sorridente e regolare, era ancora bello, insomma, faceva parte di quel due per cento di anziani che non hanno nessun danno dalla vecchiaia. Una vecchiaia ammorbidita dalla capacità di adattarsi, con intelligenza, ai piccoli cambiamenti continui del progredire dell’età.
“Ho iniziato solo oggi a rileggere la Divina Commedia, – scrisse in un messaggio whatsapp a Carla, la sorella di Silvana, che viveva a Londra – per ora ho solo letto due canti dell’Inferno, ma ti assicuro che è come sentire una bella musica, anzi è consigliabile non leggere le note quando ci sfugge qualcosa, perché si rompe la melodia. Carla le rispose: “Io l’ho riascoltata tutta con i commenti del Sermonti, un piacere della mente...”, ma lei ribadì: “Io preferisco leggere senza commenti, perché scivola come una musica. Ma lì a Londra, come va?” continuò il messaggio. “Qui tutti fanno finta di niente, ma ci sono già un sacco di casi...” Silvana arrivò in quel momento con la spesa e due bottiglie di dolcetto che non potevano mancare a sua madre. “Mi spiace che tu non ti possa fermare, – disse con tono leggermente malinconico che si percepiva nonostante la mascherina – a forza di stare da sola mi sento strana, queste esperienze confondono, comincio a perdere colpi”. “Ma figurati! Sei solo un po' pallida, stai al sole sul balcone così accumuli un po' di vitamina D, che aumenta le difese”. La signora Angela era sensibile ai consigli medici o paramedici, era molto attenta alla sua salute e anche competente al riguardo. “Vai, che ci sono i blocchi dei carabinieri”. “Ma no, non ho visto nessuno, comunque adesso che le indicazioni sono più severe ti ordinerò la spesa on line e anche le medicine. Mi spiace ti vedrò di meno, ma è più sicuro anche per te”. “Certo”, rispose Angela, che non voleva essere di peso a nessuno, anche se le costava molta fatica non poter stare in compagnia di sua figlia. Si era abituata a stare da sola, ormai erano trent’anni che era morto suo marito e aveva trovato un ottimo equilibrio, ma adesso era diverso, specie per lei ormai molto anziana, un obbligo di un mondo a un bivio tra la possibilità di rimanere come prima o di cambiare tutto quello che, molto probabilmente, aveva portato a questa crisi. Si salutarono, il loro affetto vibrava nell’aria.
Quando arrivò a casa, Franco stava cucinando, era un ottimo cuoco, anche lui lavorava a casa, il che era già consueto anche prima dell’esplosione del covid19. La sua ditta, una multinazionale giapponese che si occupava di marketing, promuoveva già da un po' il lavoro a casa. Lo guardò con tenerezza e anche con gratitudine perché a lei non piaceva fare da mangiare, ma per l’ennesima volta si accorse che quel piacere di avvicinarsi a lui non le scatenava nessun’altra sensazione. Nessuna sensazione corporea o pensiero sensuale, niente, e ormai era da mesi. Dormivano insieme, ma nulla più, lui aveva tentato un approccio non molto tempo prima, ma lei si era sentita infastidita, invasa, e la distanza era ancora aumentata. Una parte di Silvana era consapevole che tutto questo era molto significativo in un rapporto matrimoniale, a volte ne soffriva, voleva prendere delle decisioni, si chiedeva se aveva senso continuare così, ma l’altra parte, molto più forte, chiudeva gli occhi, riusciva a continuare la sua vita e sopportava quella mancanza. I pensieri di qualcosa di alternativo a volte comparivano a livello del corpo prima, e poi della mente, ma subito venivano cancellati dal fare.
Silvana considerava attraente il marito e lo ammirava per molte sue qualità, eppure dentro di lei era cambiato qualcosa e non sapeva quando. A volte si creano dei cambiamenti che portano a deformare i rapporti senza neanche sapere perché. C’è una mancanza d’attenzione, una superficialità del quotidiano, e allora si dimentica la bellezza e l’importanza di tutto quello che si ha e la necessità di curarlo e nutrirlo, perché possa rimanere vivo. E poi c’è anche la fine di un amore e su questo si può fare poco.
“Faccio una doccia, – disse Silvana – ogni volta che esco mi sento contaminata... e poi devo lavare i capelli, domani mattina non faccio in tempo, devo andare dalla dottoressa”. “Ma guarda che lo studio è chiuso, ho chiamato oggi per la ricetta delle pastiglie per la pressione, – rispose Franco – fanno solo servizio per telefono e ricette telematiche. Un medico è risultato positivo, la casa di riposo a fianco è piena di anziani e di infermieri positivi, degli anziani sono morti probabilmente a causa del virus. Saranno stati senza dispositivi, è pazzesco”. “Caspita, – disse lei – telefono a Pilar, sua figlia lavora lì, speriamo non sia stata contagiata. Comunque la doccia la faccio lo stesso. Fra quanto si mangia?” “Quando vogliamo, è già tutto impostato, io guardo il telegiornale”. Mentre faceva la doccia pensava a tutte quelle donne peruviane che in quegli anni avevano curato o assistito anziani sia nelle loro case che nelle strutture apposite con il loro garbo proverbiale e che erano sfruttate e ora anche molto in pericolo, e provava un senso d’ingiustizia.
Pensava a quegli anziani che nessuno aveva protetto e alla loro vita così diversa rispetto a quella di sua madre. Il senso di giustizia era molto forte in lei e con intelligenza leggeva gli accadimenti sotto questa luce.
L’acqua era calda giusta e lavandosi si accorse del suo corpo e fu quasi una sorpresa.
“Pilar, tutto bene?” “Grazie signora Silvana, – rispose al telefono – veramente non tanto, il fidanzato di mia figlia è positivo al coronavirus e lei ora è da me, lei è negativa, ma ho tanta paura, sia per lei che per me, la casa è piccola, usiamo tutte le precauzioni, ma più di tanto non si riesce. E poi mi spiace tanto per quegli anziani, poverini, già fanno una vita non tanto bella...” “Hai ragione, sta succedendo qualcosa di molto grave! sentiamoci presto e tu fai attenzione, mi sa che ci rivedremo a maggio! Aggiornami, ciao”.
“Domani, oltre alla spesa dobbiamo passare l’aspirapolvere e devo stirare, per il resto si vedrà, non ne ho proprio voglia di lavare i vetri o togliere la polvere, passerà parecchio tempo prima che Pilar possa ritornare a fare le pulizie...”
A tavola, spesso, si intrattenevano conversando di quello che era successo nella loro giornata, ma in quei giorni il tema prevalente era sempre lo stesso e con piacere Franco cominciò a parlare della sua ultima lettura, che lo appassionava molto. Franco era un lettore accanito, amava la letteratura e la poesia, scriveva anche qualcosa che però non esponeva volentieri ad altri, molto spesso si chiedeva perché non aveva fatto lettere al posto di scienze politiche, aveva anche il dono dell’insegnamento e leggeva benissimo ad alta voce. Aveva ripreso la lettura di Alla ricerca del tempo perduto di Proust. “Se non lo faccio adesso che ho tempo, poi non riesco più e ci tengo troppo”, e infatti aveva ricominciato dal terzo libro. “Dopo me ne leggi una parte? – disse Silvana – la descrizione di certi personaggi è talmente approfondita, ricca, che ti sembra di essere presente in quella stanza o in quel luogo e di conoscerli, poi mi stufa un po' quando descrive tutti i vari gradi di nobiltà, non dico altro perché so solo quello che mi leggi tu, quando lo leggi mi incanti! Io ieri sera ho finito Norwegian Wood di Murakami e mi è piaciuto, è un libro sull’adolescenza, triste e forte allo stesso tempo, è meno onirico di Kafka sulla spiaggia. Il personaggio è molto solo, ma con un gran desiderio di mettersi alla prova sia nella vita che nell’amore in modo sincero e autentico. I libri di Murakami mi prendono un sacco è una scrittura veloce come se fosse a ritmo jazz, lui è un gran conoscitore della musica jazz, ha tenuto per anni un locale/bar jazz, in questo libro come negli altri ci sono molte citazioni musicali, un sacco sui Beatles, il titolo lo dice. E poi ci sono moltissime stuzzicanti scene erotiche...” E mentre lo diceva provava una strana sensazione, come se avesse ascoltato qualcosa detto da un’altra persona, e immediatamente la paura che quell’argomento delle scene erotiche potesse venire ampliato, sviscerato, cominciava a bloccarla, e così cercò immediatamente un altro argomento, questione di qualche microsecondo. Ma uno stacco di silenzio li toccò entrambi. “È cotta la pasta?” cambiando il più in fretta possibile la materia del loro discorso. “Sì, è pronta un’ottima cenetta, così dopo ti leggo una parte del capitolo... e anche la poesia che ha scritto Eugenia, mi piace molto”. Franco, era un uomo spesso di buon umore, allegro, e si chiedeva perché lo fosse, senza molti motivi reali, con una vita quasi monotona, una moglie che amava ma che non poteva più avvicinare, senza figli. Forse era una cosa naturale, biologica; da piccolo rideva proprio di gusto senza riuscire a smettere, e qualche volta gli succedeva ancora. A Silvana piaceva quando rideva così, era contagioso, e poi raccontava delle barzellette che facevano piegare in due. A lei piaceva molto questo aspetto, la rendeva leggera, cosa che a lei riusciva un po' difficile. “Vorrei essere leggera come un lenzuolo steso che segue le onde del vento e lasciarmi girare e contorcere come in una danza di pieghe e ricami”, pensava guardando la biancheria stesa sul balcone di fronte, e invece spesso si sentiva appesantita dalle responsabilità e dalla sua visione lucida e precorritrice degli accadimenti. La chiamavano Cassandra, e ci azzeccava parecchio, a volte le sembrava uno strano destino, a volte un’antipatica ansia.
“Preferisco se cominci con la poesia, – disse Silvana – così dopo entro nell’atmosfera del racconto e me la godo anche in sogno”.

Strano silenzio
Sento stasera, che strano
lo scroscio leggero della fontana
il toret di largo Montebello
un silenzio irreale abbaglia
non lo riconosciamo
fra queste vie tradite
scandisce giorni lunghi
senza tempo
dove cerchi la solitudine
per non essere sorpreso
siamo diversi ormai
mentre in altri luoghi
della stessa città
la battaglia fa rumore
tra chi resta e chi va
eppure la primavera
la più attesa
offre sempre
qualcosa di nuovo.


“Dovresti registrarla, – continuò – ed Eugenia potrebbe metterla su Youtube, è talmente bella e rende benissimo l’atmosfera di questi giorni! E poi letta da te prende ancora più forza”. “Sai che lei è riservata e anche un po' imbranata con la tecnologia, magari glielo propongo e poi lo faccio io” rispose Franco.
“Dai, sarebbe bellissimo”.
Mentre si preparava alla lettura della parte in cui è descritto l’incontro del narratore con Charlus, pensava a come stava bene con quella donna e non si capacitava che il resto non funzionasse. Ma una certa superficialità e la paura di modi ficare qualcosa nella sua vita non gli permettevano di aprire certi argomenti, e le cose che non venivano affrontate, dopo un attimo, facevano già parte del passato.
“Io sono pronta”, e messa comoda sul divano si accorgeva di entrare in quel mondo riga dopo riga e, senza sapere come, si trovò attaccata al braccio di Franco con la testa sulla sua spalla, e ci restò.
“Sei troppo bravo Franco, mi fai entrare nel racconto, come se fossi lì, – disse mentre sentiva che tutte le membra avevano partecipato alla lettura e avevano raggiunto uno stato di rilassamento ed eccitazione – adesso vado a dormire”. Sentiva una stanchezza, in quei giorni, superiore alla norma, la tensione di tenere tutto sotto controllo e poi, forse, tutto quel tempo per pensare. Pensare stanca.
Quella notte si era svegliata più volte per via delle sirene delle autoambulanze che sembravano rincorrersi una con l’altra, accaldata. Al primo mattino sentì di nuovo quel brusio che proveniva dall’alloggio di fianco, ci prestò attenzione e quando capì che i suoi vicini di casa stavano facendo l’amore si agitò molto, cominciò a pensare a come potevano osare in quei giorni in cui era vietato il contatto e, in preda all’inquietudine, cominciò a girarsi nel letto tanto da interrompere il sonno di Franco. “Non stai bene?” chiese Franco ancora addormentato. “Ma ti rendi conto? Quelli stanno facendo l’amore! – e sempre più alterata – pensa a tutte quelle goccioline finissime, quasi invisibili dei loro respiri e sospiri che si alzano nell’aria e si posano sui loro corpi sudati e accaldati, potrebbero infettare un reggimento!”
Franco era ancora addormentato e non capiva se stava sognando o se Silvana avesse un incubo. “Ora l’aria della stanza sarà satura e quando apriranno la finestra ne arriveranno anche verso la nostra... e poi è vietato stare così vicini, forse dovremmo chiamare i carabinieri...” “Ma cosa dici? Ti rendi conto di cosa stai dicendo? Stai straparlando”, disse Franco preoccupato, ma anche infastidito, e con tono secco e deciso continuò: “Sei conscia di quello che dici? Stanno facendo semplicemente l’amore, per fortuna loro. Stai alterando la realtà, la cosa mi preoccupa molto, stanno facendo l’amore come fanno le persone che si amano e si cercano, e basta!”
Silvana cominciò a piangere, come se la tensione accumulata si stesse scaricando, un pianto sommesso ma che sembrava sciogliere quelle asperità della sua emotività sia attuali che pregresse. Franco, dopo l’incredulità e la rabbia, sentiva di provare nei suoi confronti una certa commozione, si sentiva parte di quel dolore misto a spavento, uno specchio che rimandava un pezzo di vita lasciata lì, dimenticata, anzi sprecata. Silvana pianse tutta la notte e mentre piangeva si rendeva conto di aver avuto una crisi isterica, o forse paranoica. Certo era ancora preoccupata a causa della virulenza del Covid19, così potente e contagioso, inizialmente sottovalutato da molti, ma ora che cominciavano a diminuire i casi si era rilassata e poi si sentiva protetta dal fatto di essere sempre in casa. Sapeva con certezza che era stato l’aver sentito i suoi vicini a scatenarle quel disorientamento, quell’inquietudine, mettendo in risalto ciò che la faceva soffrire: il suo distacco da Franco. In realtà un cambiamento tra loro c’era stato in quei giorni, un avvicinamento e, se lasciava parlare il proprio corpo, il desiderio riaffiorava.
Franco aveva capito cos’era successo ma aveva timore ad avvicinarsi. Gli uomini, così impavidi, hanno spesso paura ad accostarsi a una donna in preda a una crisi di nervi. E così aspettava un segno.
Nei giorni seguenti non avevano più parlato di quell’episodio, ma entrambi si trovavano spesso l’una vicino all’altro senza accorgersene, in modo spontaneo, come se, con gradualità, riaffiorasse un’attrazione. Non servivano le parole, a volte più che chiarire complicano, ci vogliono anni per capirlo. Silvana si curava di più, aveva ricominciato a sciogliersi i capelli, ne aveva tantissimi, e a prendere il sole, si abbronzava in fretta, e quel leggero colorito le donava. Franco ogni sera leggeva qualcosa, sempre con maggior afflato e i manicaretti non mancavano. Quella sera risero così tanto nel guardare per la terza volta Frankenstein Junior, che si addormentarono a fatica, ma vicini.
Nel pieno della notte Franco si svegliò, Silvana riposava ma percepì la sua presenza, il suo risveglio, lui si girò con risolutezza e appoggiò le sue mani sui suoi fianchi, lei sentì un calore che da tempo non aveva più provato.

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