Una dolce distopia

E non ci siamo più potuti unire insieme senza creare bombe, che a volte sono esplose e hanno permesso che se ne creassero delle altre.

Anna Pippoli

Un giorno, praticamente dal nulla, ci siamo ritrovati a vivere dentro un’app, dentro qualcosa di simile a Candy Crush. Ci siamo ritrovati a vivere dentro uno schermo, che poi è una scatola, tutti, caramelle di qualsiasi colore, ognuno nella propria casella, con libertà di movimento limitata e condizionata: su o giù, dove il “su” è la farmacia, e il “giù” è il supermercato. E non ci siamo più potuti unire insieme senza creare bombe, che a volte sono esplose e hanno permesso che se ne creassero delle altre.
Qualcuno però, prima di iniziare la partita aveva già creato la ciambella: qualcuno aveva già formato la fila di 6, che poi il settimo ha fatto esplodere.
Viviamo dentro ad un livello difficile, dove le mosse non bastano mai e i booster, per quanti siano, servono solo ad allungare la partita di pochissimi secondi, insufficienti per vincere.
È una partita anomala però; ho scritto “qualcosa di simile a Candy Crush” perché adesso ad esplodere non sono caramelle, ma sono persone, e le vite che finiscono non sono solo 5, e quando finisco sono finite per sempre, non ci sono i 30 minuti di ricarica. Probabilmente il livello successivo sarà più difficile di questo attuale.

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