Veste una tuta di cotone, comoda e dai colori sobri. I capelli sono in ordine. Prende poi una boccetta piena a metà di un liquido ambrato e depone adagio due gocce di Chanel n. 5 nell’incavo del seno.
Devo lasciarti, incantato paese della fantasia, la mia camera, proprio oggi alcune persone da cui dipendo, pretendono di restituirmi la libertà. Come se mi fosse stata tolta! Essi mi hanno vietato di percorrere una città ma mi hanno lasciato il mondo intero.
Xavier de Maistre - Viaggio intorno alla mia camera
Lei si alza ogni mattina alla sette, minuto più minuto meno. Scioglie con fatica i nodi delle articolazioni, che l’immobilità notturna ha accentuato con il concorso della malattia, che da alcuni anni l’accompagna stabilmente. Stesa sul fianco sinistro fa leva con il braccio destro e si solleva in posizione seduta e con i piedi ben poggiati a terra. Una volta sicura che la postura risulti stabile, solleva il tronco e resta in posizione eretta. I primi passi sono incerti, come chi principia a camminare e non sa
ancora se fidarsi o meno – ne sarà capace? O le ginocchia cederanno di schianto corrose all’interno dalla vecchiaia e dalla malattia? L’animo è quieto seppure all’erta. Da tempo convive con quella subdola coinquilina, esigente e ostile. All’inizio aveva cercato di combatterla, ignorandola, forzando il suo fisico a fare quello che di solito faceva e in questi sforzi consumava tutta la sua energia. Poi aveva imparato a darle spazio, alla
malattia naturalmente, riconoscendo la sua presenza e le sue occorrenze ma relegando il tutto in una porzione ben definita del suo tempo per poi dimenticarsene per il resto della giornata.
La colazione del mattino è frugale ma sufficiente a darle ristoro e intanto attraverso la finestra del soggiorno occhieggia un giorno asfittico con sfumature grigio topo. Silenzio. Avvertì il silenzio come cosa palpabile e concreta, un materiale colloso e denso, che rendeva inerte ogni cosa. Non era passato neanche un mese da quando un male oscuro indefinibile e perciò ancora più temibile si era diffuso nel paese e dopo un iniziale
momento di sconcerto la vita si era come adagiata in una quotidianità monca e spenta. Si dirige fiaccamente verso il bagno per la toilette mattutina. Innumeri boccette e boccettine sono disposte con un ordine meticoloso lungo il perimetro del lavandino. A prima vista le prenderesti per profumi, creme e balsami, tutto l’armamentario di cui una donna pensa di non poter fare a meno per salvaguardare e mantenere la sua bellezza.
Qualcosa di frivolo, insomma, le meravigliose gratuità di cui si compiace la donna moderna prima di avviarsi al lavoro ogni mattino. A ben guardare però nella maggior parte dei casi sono medicinali, che servono a lenire gli effetti che le diverse affezioni hanno causato a varie regioni del suo corpo sia che si tratti degli occhi o della pelle o dei turbinati che all’arrivo della primavera sembrano reagire in modo esagerato. I movimenti sono lenti e studiati. Non ha fretta. Le mani definiscono il contorno del volto, un po’ evanescente - intravede dietro l’immagine riflessa nello specchio un’ombra lontana di delicata giovinezza. Sorride appena, un poco amara. Sulla palpebra inferiore dell’occhio sinistro un segno come un ricamo sottile – traccia del carcinoma della cute che proprio l’anno scorso le era stato asportato all’ospedale di Candiolo. Bravi, erano stati bravi. Lavoro pulito ed efficace, le cicatrici come lievi merletti non fosse per l’orlo glabro della palpebra dove le ciglia non erano ricresciute. Fuori dalla finestra intanto il sole si era liberato dalla foschia del mattino e la luce dava nuova consistenza alle cose e agli animali, che si muovevano nel cortile interno delimitato da due grossi edifici disposti a formare un angolo retto. Cosicché l’occhio, dalla posizione dov’era, si poteva spostare verso l’alto a scorrere gli otto piani del palazzo che si ergeva alla sua sinistra – ancora nessun umano sui balconi - oppure scorrere verso il basso dove c’era il cortile interno e le aiuole con il prato verde e tante margherite bianche e gialle – erano spuntate durante la notte? Mentre le mani continuano il loro lavoro addestrate da un impegno quotidiano, lei è attratta da movimenti leggeri sul terreno – due scoiattoli bebè! S’aggirano a poca distanza l’uno dall’altro, si rincorrono, alzano la coda vaporosa. Da tempo ormai in quel quartiere periferico la presenza di quei roditori è un fatto acquisito – ha visto lei stessa alcuni anziani seduti sulle panchine con le tasche piene di noccioline per attirare quei golosoni. E quelli non si facevano attendere! È la prima volta però che nel giardino interno di quel complesso condominiale sono nati dei piccoli. E la mamma? Allungò il collo e la scorse infine, un po’ defilata verso il muro mentre i suoi piccoli esploravano quel nuovo territorio. Perché ti meravigli? – si chiede con nuovo interesse – marzo sta per finire e la primavera nessuno la può fermare neanche il Covid-19! Quasi a darle ragione un fischio acuto e forte, che finisce in brevi trilli più bassi, si fa sentire. Sorride. I merli sono tornati forse già da alcune settimane e lei – troppo angosciata dalle notizie sulla pandemia che avevano saturato ogni
spazio e tempo – non ci aveva fatto caso. Imperdonabile. Mentre spalma un unguento sulla pelle divenuta ruvida e squamosa, ne ascolta il canto. Lei ama molto i merli. Si sporge un po’ e vede un merlo maschio, becco giallo e livrea nera. Poco lontano il merlo femmina, con colori più sbiaditi. Primavera – stagione degli amori! Un acuto senso di nostalgia le strizzò un attimo il muscolo del cuore, lo sguardo perse vivacità e si sentì persa. Riemerse annaspando per degli striduli tink–tink–tink ripetuti più o meno velocemente – il merlo era allarmato per la presenza di un pericolo. Si sporge decisamente dalla stretta finestra del bagno ed eccola lì una gazza, uccello elegantissimo per via del suo piumaggio bianco e nero con bellissime sfumature bluastre. Le gazze sono predatori del nido dei merli – vai via vai via – le disse. Rimase lì nella cornice della finestra godendo del sole che le accarezzava le guance annose, mentre gli occhi perlustravano quel breve spicchio di mondo dove ricominciava il ciclo della vita. Si sentiva ricca. La tensione che le fa contrarre dolorosamente le spalle si allenta, respira profondamente e ritorna al lavabo. Continua a mettere “le pezze”, come dice lei prendendosi in giro, ai guasti provocati al suo corpo dalle malattie e dal tempo inesorabile che passa – il tempo
– sospirò. Si era sempre chiesta cosa fosse – il tempo – ma non l’aveva mai capito fino in fondo. Ne vedeva però gli effetti su se stessa sulle cose che la circondavano. Malinconia. Quasi dolce. I gesti sono misurati. La sua età non ha fretta, anzi trattiene il secondo un attimo proprio prima che trapassi. Ora ha quasi finito. Veste una tuta di cotone, comoda e dai colori sobri. I capelli sono in ordine. Prende poi una boccetta piena a metà di un liquido ambrato e depone adagio due gocce di Chanel n. 5 nell’incavo del seno.