io racconto

#iorestoacasa

Una signora, al piano di sotto, stende la biancheria. Esce dal bagno con un pezzo per volta. Quattro mollette su ogni capo. Osserva il bucato. Rigira un pantalone. Lo riposiziona.
Probabilmente loro scrutano me.

Grazia Tatta

All’inizio ho pensato che la Cina fosse molto lontana. Poi Codogno e Vo’ Euganeo. Poverini ho detto e speravo non varcasse il confine lombardo-veneto.
Poi la zona rossa.
Ora sono un ostaggio. Il limite da non superare è l’uscio di casa.

La mia preoccupazione immediata è stata procurarmi guanti mono uso e mascherine che ho comprato in farmacia. Sull’etichetta c’é scritto che sono paragonabili a quelle sanitarie. Il 97%. penso sia una buona percentuale di protezione. Il restante 3% perché dovrebbe capitare proprio a me?

Devo fare la spesa. Mi viene in mente la fame atavica di mia madre. Lei era abituata ad avere poco. Il pane lo mangiava anche raffermo. A me piace quello di Altamura. Il grano giallo per me vuol dire Puglia, i nonni materni, le vacanze estive di quando ero bambina.
Chissà se troverò qualcosa?
Mentalmente stilo una lista.
Prima di entrare al supermercato mi bardo come quelli che ho visto in Tv, medici e infermieri che stanno dando l’anima senza sosta. E penso a quelli che domenica se ne sono andati a godersi la giornata al mare o in montagna a sciare. Stare a casa con i bambini è complicato. L’infermiera di non so quale ospedale intanto è crollata esausta sulla tastiera del pc.
Nel supermercato sto a debita distanza dalle persone.
Alle casse tutti i carrelli arrivano colmi.

Guardo fuori. Un gruppo di gazze, tra i rami di un sempreverde, fa baruffa. Svolazzano, si inseguono, si beccano, si impennano in volo. Sarà per una femmina? O forse stanno solo contendonsi un verme o i resti di una scatoletta di tonno. Volano via. L’inseguimento termina sul tetto della casa di fronte. Beate loro. Sono libere. Non hanno limiti.

Spazzolone, straccio, detersivi. Il puzzo della candeggina rimane impresso nelle narici come un marchio a fuoco, anche nelle mani, nonostante indossi i guanti. L’odore dell’alcool si mescola con il profumo della frittata di zucchine che, nel forno, lievita come un pane.
Mi viene la nausea.
Esco sul balcone. Saluto la vicina.
Anche lei fa pulizie accurate.
Colpa del virus che ci reclude.

Sul mobile le cornici con le foto di famiglia sono orientate nel verso giusto. Mi sento protetta.
Non ne ho nemmeno una del mio matrimonio.
La casa splende.
L’ordine è maniacale.
Colpa del virus.
Il caos è fuori.
Colpa nostra.
Abbiamo inflitto colpi devastanti alla Terra.
Il virus è una lama che sta affondando nella carne dell’umanità.
Non lascerà segni tangibili come le atomiche.
Le cicatrici saranno nelle nostre teste.

Il virus è tenace, dobbiamo restare a casa.
Mancano le mascherine negli ospedali.
Penso che, se non ora, moriremo tutti alla prossima pandemia. Il virus sa aspettare.

In casa facciamo i turni per smaltire l’immondizia. Io non prendo l’ascensore e in strada misuro i passi. Procedo lentamente. Deve durare più a lungo possibile. Ieri ho attraversato il prato per osservare un albero. La chioma è una nuvola di fiori bianchi. Il profumo intenso mi ha fatto sorridere. Ho socchiuso gli occhi.
E’ primavera nonostante tutto.
Io ho paura.

Inizio a scrutare le vite degli altri.
Il signore del quarto piano del palazzo di fronte fa arieggiare la camera da letto dalle nove alle nove
e trenta.
Una signora, al piano di sotto, stende la biancheria. Esce dal bagno con un pezzo per volta. Quattro mollette su ogni capo. Osserva il bucato. Rigira un pantalone. Lo riposiziona.
Probabilmente loro scrutano me.
Abbiamo tutti tempo da perdere.

La maestra di scrittura, su whatsapp, dice al gruppo che la quarantena non ci impedisce di scrivere.
Iniziamo domani. Due parole vincolanti (devono obbligatoriamente comparire nel testo), 400 battute (spazi inclusi, escluso il titolo), non una di più, non una di meno. Ogni giorno, quattro righe in tutto. Ci divertiamo.

Il reader acceso è in stand by da un’oretta. Le bizze del cuore dell’autore mi annoiano. Le parole del libro mi fuggono dagli occhi. Penso al virus. A quello che sarà nei prossimi giorni.
Ce la farò con le provviste?

Da oggi sono chiusi anche i parrucchieri. Lo spray per i ritocchi è una grande invenzione.

“Prega”, mi ha detto un’amica. Una volta l’ho fatto. L’aereo ballava come un fuscello. L’atterraggio
è stato buono. La preghiera rivolta al comandante aveva avuto il suo effetto.
La sirena di un’ambulanza mi penetra nello stomaco.
Guardo la sveglia. E’ quasi ora di cena. Per un po’ non penserò.
Domani sarà lo stesso giorno.

Cerco matite colorate e cartoncino. Disegno un arcobaleno un po’ naif; “ANDRA’ TUTTO BENE” lo scrivo a caratteri cubitali e lo coloro di rosso. Appendo cartello e bandiera. Quella che sventola dal balcone dell’angolo è al contrario. La sequenza esatta è verde, bianco, rosso.

Da giorni non calzo scarpe, sto sempre in tuta. La ragazza del primo piano del palazzo di fronte indossa pantaloncini corti. Si gode la giornata di sole stesa su un lettino. L’ombra della ringhiera le rimarrà tatuata sulle gambe?

La maestra di scrittura cambia le regole. Aumentano le battute: da 400 passano a 420 e, oltre alle due parole, diventa vincolante anche l’uso di un verbo. La questione si complica, ma tutte scriviamo a oltranza su whatsapp. E’ la stanza tutta per noi. Abbiamo voglia di rivederci. Ci mancano gli incontri del martedì.

Oggi il bucato lo ritira mio marito. Piega un lenzuolo. Disfa tutto. Lo appoggia sul letto e lo ripiega.
“Che dici va bene così?”
Domare gli angoli con gli elastici è un lavoro che richiede applicazione costante.
Mi accorgo che sui rami le foglioline verdi hanno scalzato quelle che ancora penzolavano raggrinzite. La vita continua.

E’ domenica. Nel parco due bambini si rincorrono. Quello della vicina è chiuso in casa dall’otto marzo. Sta sul balcone e parla con il gatto. Io ogni tanto parlo con Covid 19.

Stanotte ho sognato mia madre. Era bambina. Pedalava nella campagna assolata della Puglia. Lei non sapeva andare in bicicletta, ma nei sogni io faccio quello che voglio.

E’ il primo aprile, le cicale non friniscono ancora e le gazze tacciono, frenate dal vento. Solo ululati di sirene.

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