Pietro Polito, Perché Antonicelli?

A non molti passi dalla casa di Piero e Ada Gobetti, in via Fabro 6, nello spazio antistante al Polo del Novecento, da qualche anno a Torino si trova la Piazzetta Franco Antonicelli. Questa scelta della Città di Torino ha un valore simbolico e civile ed è una testimonianza significativa del fascino duraturo e della lezione importante di un autore che continua a parlarci. Tanto che, nel 120° anniversario della sua nascita viene spontaneo domandarsi: “Perché?”.

A mio avviso, la risposta la si può trovare in un appunto manoscritto di Antonicelli con disegno a matita in cui si legge: “Canzoni in punto di morte /Tenete vivo lo spirito critico/ Uomini si sono levati in piedi”. Parole esemplari che ci restituiscono integralmente l’Antonicelli uomo, scrittore e intellettuale politico.

Infatti, l’invito a “tenere vivo lo spirito critico” e il pensiero rivolto a quegli uomini che «si sono levati in piedi» sono l’insegna di una ben determinata concezione della politica. La sua passione fu la letteratura ma egli seppe vincere la tentazione del chierico a rinchiudersi nella torre d’avorio. Il suo fu «impegno di uomo, di uomo intero [...] insieme più alto e lungimirante. Fu un impegno in largo senso politico, intesa la politica [...] come lotta non per il potere ma per la libertà»[1]. Antonicelli «concepì la politica come attività necessaria all’uomo intero, e magari in certe situazioni prevalente, ma non mai esclusiva, come strumento non di potere ma di libertà, e s’intende per coloro che non sono ancora liberi, la cui libertà deve essere difesa, allargata, rafforzata contro i potenti di turno»[2].

Forse il tratto più caratteristico della sua personalità è la persuasione che «le cose dovevano essere fatte per convinzione non per interesse»[3]. Egli aveva una concezione gobettiana della politica che è come dire una concezione etica della politica, «da non abbandonare mai anche se destinata alla sconfitta»[4]. Questa visione della politica egli ha scolpito in una delle sue ultime poesie L’alibi:

Quando avanzano i cesariani
conta rimanere anche solo, in uno spazio
sempre più piccolo, la buona daga in mano,
non essere altri, né altrove,
ma un soldato in campo[5].
 
E l’ha riassunta magistralmente con queste parole:
Agli uomini non deve essere consentito di agire secondo natura,
che è nulla e non prova nulla e non discrimina nessuno,
ma secondo coscienza,
la quale sola può dare ugualmente a tutti il diritto di giustificarsi[6].

Archivio Centro studi Piero Gobetti – Fondo Franco Antonicelli, scatola 31 (29/1)

 

[1] N. Bobbio, Franco Antonicelli. Ricordi e testimonianze, Bollati Boringhieri, Torino 1994, p. 24.
[2] N. Bobbio, Franco Antonicelli, cit. p. 34.
[3] Ivi, p. 27.
[4] Ivi, p. 41.
[5] F. Antonicelli, L’alibi, in Id., Improvvisi e altri versi (1944-74), a cura di Lorenzo Greco, All’insegna del Pesce d’Oro, Milano 1984, p. 91.
[6] N. Bobbio, Franco Antonicelli, cit., p. 21.

Centro studi Piero Gobetti

Via Antonio Fabro, 6
10122 Torino
c.f 80085610014
 
Tel. +39 011 531429
Mail. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Pec. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Iscriviti alla Newsletter

Inserisci la tua mail e sarai sempre
aggiornato sulle nostre attività!