Chiave di lettura - 08/19

25 luglio 1943
a cura di Cesare Panizza


Sebbene abbia vinto il premio Acqui Storia 2018 per la sezione divulgazione, il libro 25 luglio 1943 di Emilio Gentile, pubblicato in una collana Laterza che racconta alcune delle giornate fondamentali della nostra storia recente, non è affatto un’opera divulgativa. Può forse farlo credere quello stile piano ma mai corrivo verso il lettore, che da sempre rende accessibile la produzione storiografica del suo autore anche ai non specialisti, o l’abilità – ci sia permesso di dirlo – narrativa con cui Gentile – quasi da giallista – sbroglia una vicenda assai intricata, restituendoci con leggerezza tutta la fatica e la laboriosità del mestiere di storico.

È infatti in realtà un’opera di ricerca a tutti gli effetti che fa giustizia di molte versioni di comodo sovrappostesi nel tempo di un momento cruciale della storia d’Italia. Lezione di metodo storico, dunque e innanzitutto, giacché Gentile, mettendovi a confronto tutti i racconti oggi conosciuti – ben 22 – della notte in cui il Gran Consiglio avrebbe decretato la fine della dittatura e soppesandone il contesto di redazione e le intenzioni degli autori, dimostra quanto poco degna di fede sia la tesi prevalente nella memorialistica, ma anche nella storiografia, che vorrebbe che il supremo organo del regime abbia consapevolmente sfidato Mussolini, sfiduciandolo. Grazie anche al rinvenimento nelle carte di Federzoni di una sorta di verbale – le sessioni del Gran Consiglio non erano verbalizzate – redatto successivamente ma con la collaborazione di più di un partecipante alla riunione, Gentile può dimostrare assolutamente inverosimili innanzitutto le diverse ricostruzioni di essa offerte negli anni, talvolta anche in tempi molto posteriori, dai principali protagonisti della vicenda. A partire soprattutto da chi come Dino Grandi si sarebbe poi in qualche modo attribuita la responsabilità storica dell’evento. Peraltro, che non si possa parlare di sfiducia o di colpo di stato sarebbe dimostrato dall’andamento della riunione – durante la quale in realtà non avvenne alcun drammatico confronto fra Mussolini e i sostenitori dell’ordine del giorno presentato da Grandi, ai quali il dittatore peraltro non avrebbe mai rivolto l’accusa di stare provocando la crisi del regime – nonché dai contenuti della mozione presentata dal gerarca bolognese finalizzata sì, in un momento di profonda difficoltà per l’andamento della guerra, a richiamare il Re ai suoi poteri costituzionali di capo delle forze armate, ma per condividerne con il fascismo e Mussolini la gravosa responsabilità. Fu quanto disposto contemporaneamente da Vittorio Emanuele III il giorno dopo – l’arresto di Mussolini e la sua sostituzione con Badoglio – probabilmente per anticipare un progetto cruento di colpo di Stato da parte di settori delle forze armate convinte ormai della necessità di sbarazzarsi del dittatore per arrivare a una pace separata, a distorcere il senso della proposta Grandi (che certo accelerò i propositi del Re). Fu peraltro proprio Mussolini il primo a offrire una narrazione che faceva della notte fra il 24 e il 25 luglio un colpo di stato, per esigenze propagandistiche, dopo aver assunto il comando della Repubblica sociale, tesi su cui sarebbe poi stato imbastito il successivo processo di Verona. In realtà, come dimostra Gentile, il dittatore romagnolo avrebbe avuto tutti gli strumenti per impedire facilmente la manovra Grandi – avendo peraltro il potere di decidere l’ordine del giorno del Gran Consiglio (di cui nelle ore precedenti era perfettamente al corrente) e dunque di non porre ai voti la mozione o di interrompere la seduta in qualsiasi momento – se l’avesse ritenuta effettivamente così grave. In realtà – ed è questo l’elemento più sconcertante che ci restituisce la ricostruzione di Gentile – Mussolini lasciò fare intravvedendovi la possibilità difronte a un disastro militare ormai irreparabile di scendere dal treno in corsa della storia. E il suo atteggiamento remissivo, interpretato come consenso, spinse molti dubbiosi a votare favorevolmente. Fu insomma quella della notte del 25 luglio l’eutanasia di Mussolini, convinto ormai di aver perso il suo carisma, e con essa del regime. A dar retta a Gentile, il modo in cui il fascismo finì – lasciando da parte la sanguinosa successiva coda saloina – non può che frastornare il lettore.
Il 25 luglio fu insomma una prova generale di viltà, tanto più stridente rispetto alla gravità della catastrofe in cui il fascismo aveva precipitato il paese. Il constatare una volta ancora di quale qualità morale fossero fatti i suoi vertici non toglie però un’oncia alla terribilità totalitaria del regime, anzi è un argomento in più per sottrarsi ad ogni tentativo di banalizzazione di quell’esperienza storica. Certo però non ci si può non chiedersi come sia possibile che vi siano ancora oggi persone e movimenti che ne celebrino la memoria, facendo proprio di un malinteso senso dell’onore e della fedeltà il cuore di quel macabro culto.

 

Recensione a 25 luglio 1943 di Emilio Gentile (Laterza, Bari-Roma 2018).

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